sabato 14 aprile 2012
​Si è aperto al Palacongressi di Grado, di fronte ai 600 delegati di 15 diocesi, il secondo Convegno ecclesiale del Triveneto, sul tema "In ascolto del territorio per testimoniare Cristo".
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​«Non ci è richiesto di trovare ricette conclusive, ma di individuare piste da percorrere insieme per una nuova evangelizzazione». E poiché saranno comunque delle piste irte di ostacoli, «sarà bene provvedere per il post-Convegno un cammino di ricezione e di attualizzazione delle proposte che emergeranno» perché il percorso di ciascuna diocesi «venga valorizzato dalla condivisione, per essere "concordi" nel testimoniare Cristo agli uomini e alle donne di oggi». Ieri a Grado, nella prima giornata di lavori del secondo Convegno ecclesiale del Triveneto, monsignor Antonio Mattiazzo, vescovo di Padova e vicepresidente del comitato preparatorio dell’assise, ha tracciato la rotta di questo evento che, ventidue anni dopo il primo, ridisegna la missione delle Chiese di queste terre di confine. A quasi un anno dalla visita del Papa, il Nordest riparte dalla triplice domanda posta da Benedetto XVI il 7 maggio 2011 quando ad Aquileia aprì l’anno di preparazione: «come annunciare Gesù Cristo, come annunciare il Vangelo e come annunciare la fede oggi?».Il convegno, dedicato al tema «Testimoni di Cristo, in ascolto», si è aperto al Palacongressi di Grado di fronte ai 600 delegati delle 15 diocesi con il saluto di monsignor Dino De Antoni, presidente della Conferenza episcopale del Triveneto, e con la meditazione di suor Elena Bosetti. L’arcivescovo di Gorizia ha ricordato la «mission» di «Aquilea 2», che punta a «discernere il grande cambiamento che stiamo attraversando» e, ricordando la visita di Benedetto XVI, ha presentato un Nordest «testimone ed erede di una storia ricca di fede, di cultura e di arte», nel quale «l’esperienza cristiana ha forgiato un popolo affabile, laborioso, tenace, solidale, segnato in profondità dal Vangelo di Cristo, pur nella pluralità delle sue identità culturali».L’atmosfera che si respira vent’anni dopo il primo Convegno è quella di una Chiesa triveneta che viene quotidianamente «sfidata» dal crollo delle barriere e delle tutele. «Trasformazioni ancora in atto – ha sottolineato Mattiazzo – e che hanno rilevanti ripercussioni sulla visione della vita e sulla pratica della fede». Se per toccare il cuore di questa società, s’impone, come ha osservato Mattiazzo, «un percorso di tipo catecumenale» se non «di iniziazione o di re-iniziazione cristiana», sul piano pastorale le Chiese locali sono chiamate a «non rinchiudersi in se stesse o assumere atteggiamenti meramente difensivi», e a «ridiventare protagoniste di un rinnovato servizio al Vangelo». Che può anche condurre a disamine dolorose, come quella fatta ieri, a margine del convegno, dal patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, che ha definito «una questione di giustizia» il fenomeno degli imprenditori suicidi. «Nei temi individuati dal convegno Aquileia 2 – ha detto il patriarca – c’è anche il bene comune che non può prescindere dalla giustizia. Dobbiamo interrogarci sul fatto che il bene comune non può chiedere degli sforzi a qualcuno e ad altri no. Non possiamo chiedere sforzi a chi ha già fatto il suo dovere».Il tema della crisi è centrale nella riflessione della Chiesa triveneta: di «fase critica» ha parlato Mattiazzo e il primo pensiero di monsignor Luigi Bressan, arcivescovo di Trento, che ha presieduto i Vespri, è andato proprio a «giovani, famiglie e imprenditori» attanagliati dalla crisi. Ma la cifra sociale del Convegno emerge soprattutto dai contenuti della riflessione che si svilupperà oggi, dopo l’intervento di monsignor Lucio Soravito, vicepresidente del comitato e vescovo di Adria-Rovigo, che introdurrà la discussione dei 30 gruppi di lavoro.Per quanto anche la nuova evangelizzazione e il dialogo con le culture del nostro tempo – due dei tre ambiti della discussione – risultino prioritari per le 15 chiese del Nordest, è la riflessione sul bene comune che va a impattare più direttamente sull’attualità. Con interrogativi di questo tenore: «Le comunità cristiane solitamente gestiscono parecchi beni: in che cosa esse sono chiamate a conversione oggi a riguardo? Come può apparire meglio un volto di Chiesa povera e solidale? Con quale stile pastorale occorre impostare la gestione dei beni nella comunità cristiana? Quali sono i fronti della solidarietà da tenere aperti oggi?». Ieri sera Soravito commentava: «La "pedagogia della carità" non può essere fatta di parole e pertanto oggi le nostre comunità giocano molto la loro autenticità e credibilità nell’uso dei loro beni materiali. Esse sono credibili nel loro annuncio, se offrono una testimonianza di sobrietà, di povertà, di un uso a favore di tutti e dei poveri per quanto concerne i beni che possiedono e le strutture di cui dispongono».
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