venerdì 1 aprile 2016
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Santa dei poveri, dei malati, dei dimenticati, degli ultimi! Il senso della prossima canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta è stato analizzato nei giorni scorsi con ampiezza di particolari dai media. C’è, però, un aspetto di questa figura carismatica che merita più attenzione, quello di avere fondato la famiglia dei Missionari della Carità, composta da quattro congregazioni religiose: una femminile e tre maschili, aventi in comune la finalità di servire i più poveri dei poveri. Le suore dal sari bianco bordato d’azzurro, sono oltre 5.000 sparse in 762 case, in 135 Paesi. Numeri che sorprendono nel clima generale di crisi vocazionale che ha investito la vita religiosa nelle sue forme più importanti e ricche di storia a cominciare proprio dagli anni in cui Madre Teresa muoveva i primi passi come fondatrice. Quando nel 1975 le chiesi quanti animatori e animatrici avesse per divulgare il carisma delle sue congregazioni, sorrise e ammise di non essere al corrente neppure dell’esistenza dei Centri unitari per le vocazioni che nella Chiesa si stavano costituendo! Come si spiega allora la rapida crescita dei suoi seguaci senza piani fatti a tavolino, e nell’assenza assoluta di tecniche pubblicitarie? Lo scrittore Tiziano Terzani individuò il segreto dell’insolito fenomeno nella capacità di «ridare a tanti giovani occidentali persi nel grasso della ricchezza, ma poveri spiritualmente, una forza, un fuoco che li brucia». Nel suo viaggio a Calcutta si era, infatti, reso conto che i giovani vedevano in Madre Teresa non un modello di efficienza, ma la personificazione della sequela di Cristo. Non si sbagliava! 'Vivere a tempo pieno per Gesù' è il fondamento della regola dei Missionari e delle Missionarie della Carità, ed è anche la ragione del loro nome; missionari perché innamorati talmente di Gesù da non desiderare altro che farlo conoscere ed amare. Madre Teresa voleva che Gesù, per i suoi religiosi, non fosse una figura astratta, ma una Persona da scoprire nei più poveri dei poveri. In 50 anni ne accolse migliaia nella Casa per i morenti di Calcutta. Un moribondo coperto di vermi, dopo essere stato lavato e curato gli disse: «Madre, ho vissuto come un animale, sto morendo come un angelo, vado da Gesù ». Una lezione di vita tra le tante che Madre Teresa sapeva trasmettere con l’esempio ai suoi religiosi. Difficilmente, fuori di questa logica, si può capire lo sviluppo delle sue congregazioni, e tanto meno il criterio con cui i suoi figli e figlie spirituali scelgono di vivere con i più poveri in Paesi dove la testimonianza giunge fino alla prova del sangue, come è accaduto il 4 marzo nello Yemen, dove quattro Missionarie della Carità, che accudivano un’ottantina di anziani, sono state assassinate. Pochi giorni prima avevano scritto: «Insieme viviamo, insieme moriamo con Gesù, Maria e la nostra Madre Teresa». Su che cosa poggiava il coraggio di queste martiri, come le ha chiamate papa Francesco, se non sulla volontà di seguire Cristo fino alla morte? E su che cosa esse riponevano fiducia se non sulla preghiera? Perché questi sono in sintesi i pilastri della regola di Madre Teresa. «Migliaia di ammalati, vecchi e contemplativi, pregano per noi - soleva ella dire - così abbiamo la forza di affrontare i pericoli. Per ogni suora c’è un ammalato, che prega e soffre per essa, perché Gesù bisogna prenderlo sul serio». Messa in questi termini la vita religiosa diventa icona del mistero che salda la sofferenza della croce alla speranza della resurrezione, ovvero del mistero pasquale che «fa dell’amore una forza creativa», come diceva san Massimiliano Kolbe. Così in un mondo sconvolto dall’indifferenza per le tragedie altrui e per le valli oscure, di cui ha parlato recentemente Francesco, quando spuntano sulla scena del mondo figure carismatiche, sul modello di Madre Teresa, disposte a sacrificarsi per realizzare un mondo © RIPRODUZIONE RISERVATA l’osservatorio di Vito Magno
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