giovedì 5 maggio 2016
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INVIATO A PALERMO Il dialogo interreligioso è il nuovo baricentro della pastorale della salute: è l’indicazione che emerge dal Convegno nazionale della Cei che si è chiuso ieri a Palermo. Facciamo il punto con il direttore dell’Ufficio nazionale della pastorale della salute, don Carmine Arice. Per i cattolici il dialogo con le altre fedi è una necessità o una vocazione? È una vocazione che definisce l’identità del cristiano. Come è stato detto al Convegno, e come attesta la Gaudium et spes , se il cristiano non è uomo di dialogo non è cristiano. In questo tempo, dialogare può essere anche una necessità politica, ma il dialogo non diventa per questo una scelta politica; piuttosto, sono le circostanze che ci mettono nella condizione di esplicitare una condizione fondamentale della nostra fede. Aggiungo che quest’obbligo identitario non è semplice né comodo: dialogare significa anche farsi carico delle fratture del passato. Non a caso, abbiamo scelto come logo del Convegno l’immagine dell’incontro tra san Francesco e il Sultano. Cosa possono fare concretamente gli operatori pastorali? Si parte sempre dalla conoscenza e dal rispetto dell’altro. Poi, è necessario sviluppare abilità relazionali che aiutino a lavorare insieme a persone di altre fedi e culture: ciò non significa, lo ricordo, indebolire la propria identità religiosa, ma fare appello a una rinnovata fedeltà al Vangelo e a Cristo per essere davvero la sua presenza nei luoghi di cura. Nei programmi formativi degli operatori abbiamo introdotto delle sessioni sull’accompagnamento spirituale delle persone di altre fedi e si è aperto un nuovo orizzonte, da cui emerge la ricchezza dello scambio di esperienze. Come dicevano i Padri: i semi del Verbo sono presenti ovunque. Quali indicazioni operative emergono dal Convegno di Palermo? Lavoreremo con le altre confessioni religiose alla produzione di sussidi per facilitare questo dialogo nei luoghi di cura, ma per prima cosa vogliamo fare una fotografia realistica della situazione e per farlo chiediamo la collaborazione delle Chiese locali: non possiamo lavorare su un tema astratto, dobbiamo andare nei territori per capire come già si sviluppi questo dialogo, che in Sicilia e in Trentino – al di là di ogni banalizzazione – può realmente assumere modalità delle differenti. Parallelamente, vogliamo investire sulla formazione degli operatori pastorali e speriamo che le istituzioni sanitarie di ispirazione cattolica si facciano capofila dell’operazione. È una piccola rivoluzione per la pastorale della salute, o no? È un nuovo atteggiamento – non si deve pensare che il futuro è già scritto, ma che la pastorale cambia con il sistema sanitario, con le parrocchie… – che ci porta a far leva su un bisogno di spiritualità che innerva tutte le culture e che, in ambito sanitario, non dev’essere più considerato un privilegio o una imposizione, ma un diritto del malato e un dovere dell’istituzione. Non stiamo facendo altro che contribuire, per una via nuova, all’offerta di una cura davvero integrale alla persona umana. © RIPRODUZIONE RISERVATA Don Carmine Arice sulle indicazioni emerse dal Convegno nazionale di pastorale sanitaria Don Carmine Arice
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