domenica 18 aprile 2010
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«Quello attuale è un pontificato di cui vedremo i frutti nel tempo. È un pontificato di seminagione. E anche un qualche dolore che il Papa possa avere per le situazioni di difficoltà è un po’ la vigilia, la sofferenza del seminatore». È con uno sguardo appassionato e di prospettiva, da cattolico e da storico di professione quale è, che il professor Andrea Riccardi guarda ai primi cinque anni di Benedetto XVI sul soglio di Pietro. Con Avvenire il fondatore della Comunità di Sant’Egidio svolge alcune riflessioni alla vigilia del quinto anniversario dell’elezione del cardinale Joseph Ratzinger. Una vigilia che nel circuito mediatico sembra essere offuscata dalla questione, pur molto grave, dei chierici accusati di abusi nei confronti di minori. «Bisogna evitare – taglia corto Riccardi – che questo senso di crisi diventi una specie di pessimismo crepuscolare. La Chiesa istituzione e noi cristiani possiamo e dobbiamo far meglio. Il Papa ha detto pochi giorni fa che dobbiamo pentirci. Ma questo non farà passare le situazioni di crisi e le incomprensioni. D’altra parte la Chiesa vive sempre in situazione di crisi, anzi agonica, come dice de Unamuno: cioè di lotta».Forse ci si era abituati bene, ai fasti del pontificato precedente...Anche Giovanni Paolo II fu tanto criticato nei primi anni del suo pontificato. Quello che è rimasto in mente è il funerale di papa Wojtyla, mai ci fu un trionfo di un papa che unì i grandi del mondo e il popolo. Ma quel pontificato non fu tutto un trionfo. Basti pensare che per oltre un decennio i cristiani vennero ancora perseguitati nel nostro Continente. Nella vicina Albania si andava in prigione per aver recitato un Padre Nostro.Quale può essere considerata la nota dominante di questo pontificato?La grande scelta di Benedetto XVI nella sua mitezza è una scelta estremamente forte: quella di proporre il cuore dell’esperienza spirituale cristiana. Fiducioso nella Parola di Dio, fiducioso nella comunicazione del Vangelo, fiducioso nella liturgia. E in questa scelta di proporre il cuore della nostra fede in maniera incessante, al modo dei grandi Padri della Chiesa, come san Giovanni Crisostomo, opportune e importune, c’è, oserei dire, il candore di questo Papa, il candore di credere soprattutto che la Parola del Signore rigeneri i cuori. E c’è una grande sapienza in questo. Soprattutto oggi che viviamo un momento complesso, in cui sembra mancare il successo e scopriamo che la nostra forza non è il successo. Insomma nella sua mitezza il Papa vibra di forza cristiana.Qual è un altro aspetto che la colpisce di papa Benedetto?C’è la sincerità di chi non vuole essere altro che se stesso: un uomo credente. La sua tenerezza, la sua semplicità, la sua non teatralità. Non recita la parte. Ma è anche un uomo che per chi lo conosce si è profondamente trasformato e soprattutto ha gestito l’età non più giovanissima in uno sforzo molto grande. Si diceva che non avrebbe viaggiato molto. Ma ora è a Malta. E ha già toccato tutti i continenti. Ha già fatto più viaggi di Paolo VI. E non sono viaggi solo simbolici, ma reali, di incontro con la gente.Benedetto XVI è il primo Papa eletto nel nuovo millennio...È un Papa che viene e porta in sé le ferite del Novecento. Due in particolare: la guerra, da qui la scelta del nome di Benedetto in omaggio al suo predecessore che la definì una inutile strage. E poi quella di una secolarizzazione occidentale che cerca la libertà o il futuro senza Dio. E da qui il grande sogno, una santa ingenuità, oserei dire, di far ragionare l’Occidente. Non è solo venuto a riabilitare la ragione, ma anche a cercare di far ragionare il nostro mondo su quale è il fondamento della sua libertà.Ma Benedetto XVI non è solo il Papa dell’Occidente...Ne ho avuto la conferma diretta quando, nel corso della visita alla mensa di Sant’Egidio, gli ho presentato 25 ospiti stranieri provenienti da Paesi diversi. Il Papa, salutandoli, mostrava di conoscere con precisione e partecipazione le diverse situazioni geopolitiche. Papa Benedetto non trascura di conoscere le diverse situazioni del mondo. E in questo c’è l’intelligenza dell’uomo e il riflesso della Chiesa cattolica, che vive la globalizzazione nelle comunione tra mondi diversi. Lì, alla mensa, ha poi mostrato un tratto della sua umanità: l’attenzione ai poveri, ai piccoli.Qualcuno vorrebbe far passare l’attuale pontefice come un anticonciliare...Giovanni Paolo II era stato definito così. E invece è stato il pontefice della recezione del Concilio. Mi fa sorridere sentir dire che Ratzinger è anticonciliare da ragazzi che il Concilio lo hanno letto in qualche documento e visto in qualche filmato in tv. Ratzinger è stato uno di quelli che il Concilio lo ha fatto, ne è stato protagonista, vi ha creduto. In questo Papa c’è la storia della Chiesa che passa attraverso il Concilio. C’è il grande recupero conciliare della Parola di Dio e della grande tradizione patristica.Forse non gli si perdona la revoca della scomunica ai vescovi "lefebvriani" e la "liberalizzazione" della Messa preconciliare...Non ho particolare trasporto per il mondo tradizionalista ma è stato un modo di consentire un certo pluralismo. Ma non si era tanto parlato di pluralismo nella Chiesa del Concilio?Un altro punto dolente sarebbe il rapporto con l’ebraismo...Per questo Papa, e ne sono stato testimone in varie occasioni, e da ultimo nella visita alla Sinagoga di Roma, gli ebrei sono qualcosa di decisivo: sono insieme intrinseci alla nostra fede e sono i primi compagni nel dialogo col mondo delle religioni. La visita nella Sinagoga di Roma è stato un grande fatto. Il Papa ha mostrato la sua umanità verso i dolori di Israele e anche la sua profondità spirituale, che è la vera garanzia con cui guarda al mondo ebraico.Davvero con questo pontificato si sta attraversando un inverno ecumenico?Una delle prime persone che Benedetto XVI appena eletto ha incontrato è stato il metropolita Kirill. Non è un caso. E non è un caso che oggi Kirill, da patriarca di Mosca, insieme a Benedetto XVI è uno dei grandi protagonisti del rinnovamento cristiano in Europa. Adesso a giugno il Papa va a Cipro mettendo i piedi in una situazione geopolitica difficile, dove sussiste l’ultimo muro d’Europa, e visitando per la prima volta un Paese ortodosso. Giovanni Paolo II dovette aspettare venti anni prima di poterlo fare andando in Romania. Tutto questo dovrebbe far notizia. Ma ho paura che non sarà così.Si legge di un Papa poco aiutato dalla Curia romana che sarebbe un intralcio alla sua missione...È una storia vecchia. Il beato Giovanni XXIII era nella "caverna dei ladroni" della Curia mentre Paolo VI, buonissimo, era nelle mani del terribile sostituto Benelli. Un tic antico, insomma, quello di voler "salvare" il Papa contrapponendolo ai suoi collaboratori. Ma questo Papa ha costruito così il suo stile di presenza e di governo.
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