lunedì 18 marzo 2013
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​Nelle sue prime parole e nei suoi primi gesti papa Francesco ha trasformato la teologia conciliare sulla Chiesa come popolo di Dio in «una realtà fruibile, comprensibile, tangibile per la gente». Ne è convinto il teologo monsignor Piero Coda, preside dell’Istituto universitario Sophia di Loppiano, che commenta le prima parole di Francesco. Subito dopo l’elezione, infatti, il Papa ha parlato della Chiesa di Roma, «vescovo e popolo insieme», come quella che deve presiedere le altre nella carità.Parole che rivelano una visione sulla Chiesa e sul ministero petrino affascinante. Da dove viene tale definizione?Sono parole profondamente radicate nella grande Tradizione della Chiesa. Perché nel primo millennio era assolutamente chiaro che la Chiesa di Roma, unita attorno al proprio vescovo, era chiamata a esercitare questo servizio della presidenza nella carità in rapporto a tutte le altre Chiese locali. L’espressione citata da papa Francesco appartiene a sant’Ignazio di Antiochia, che, scrivendo ai romani mentre era condotto al martirio (avvenuto intorno al 107,ndr), ricordava che la Chiesa di Roma è colei che presiede nella carità tutte le Chiese. Questo perché il vescovo di Roma è successore di Pietro e la Chiesa di Roma è quella in cui l’apostolo Pietro e l’apostolo Paolo hanno subito il martirio. Per il singolare legame con i due apostoli, quindi, il vescovo di Roma esercita questo ministero.Un concetto assodato per i teologi. Ma forse non così chiaro per la gente comune...Sì, però papa Francesco, richiamandosi alla grande Tradizione e collocandosi con determinazione nel solco dell’ecclesiologia del Vaticano II, già attraverso le sue prime parole e i suoi primi gesti, s’impegna a rendere percepibile al popolo cristiano e a tutta la gente questa realtà. Alcune forme in cui si è espresso pubblicamente talvolta il ministero petrino, infatti, hanno fatto sì che nella percezione comune esso venisse interpretato non quale un ministero ma come l’esercizio di un governo monarchico. E anche se il Concilio Vaticano II ha ben chiarito che la Chiesa non è assimilabile a una monarchia, questa idea è in parte ancora diffusa. Ma papa Francesco ha messo in moto una conversione nella percezione che siamo chiamati ad avere del ministero del Papa.In che modo?Iniziando questo cammino con la sua diocesi, da vescovo di Roma, addirittura chiedendo l’intercessione del popolo della Chiesa di Roma per ricevere la benedizione dal Padre sul suo ministero. Inoltre ha guadagnato un momento straordinario di silenzio, nel quale questa piazza, invitata alla preghiera dal vescovo di Roma, ha ritrovato in Cristo Gesù la sua unità. È stato un momento di altissima espressione della vita ecclesiale. Tutto ciò si pone nel solco di quanto fatto a partire dal Concilio Vaticano II, ma la novità di papa Francesco è stata quella di aver tradotto questo guadagno teologico conciliare in una realtà fruibile, comprensibile, tangibile per la gente. E la gente ha risposto in maniera straordinaria, perché si è sentita parte di una Chiesa viva locale, del corpo di Cristo presente qui ed ora nella «regione dei romani» come diceva Ignazio di Antiochia, al servizio di tutte le Chiese. E questo è esaltante, è il fascino della sequela di Cristo.Che immagine di Chiesa ne esce?Mi sembra che si percepisca un’immagine di Chiesa radicata nel vissuto della gente. Si è compreso che l’universalità della Chiesa non è un’astrazione, ma nasce dalla comunicazione di realtà locali che sono espressioni concrete dell’unico corpo di Cristo. E questo messaggio varca anche i confini di coloro che più coscentemente si sentono partecipi della vita della Chiesa: molti in questi giorni ci dicono di aver ritrovato attraverso le parole del vescovo di Roma un rapporto immediato con Cristo, con la Chiesa. Il Papa, insomma, è riuscito a stabilire una comunicazione immediata con la sua gente, rispondendo anche ai tanti che oggi cercano un’esperienza di Chiesa vera, autentica, profonda. Di una Chiesa nella quale il sacerdozio battesimale viene vissuto da tutto il popolo di Dio nella varietà dei ministeri, dei carismi, dei servizi, delle vocazioni.A proposito di carismi: come leggere il fatto che il Papa è un gesuita, un religioso?Nella realizzazione di questa Chiesa popolo di Dio i carismi sono chiamati a offrire il loro servizio. Bergoglio è un gesuita, formato dallo spirito di sant’Ignazio, e ha preso il nome di Francesco, un carismatico che non era prete. Anche questo si pone nell’eredità del Vaticano II, che ha ben ricordato – si legga il numero 12 della Lumen Gentium – come la dimensione ministeriale della vita della Chiesa è alimentata dalla multiforme varietà dei doni dello Spirito.
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