giovedì 28 ottobre 2010
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«Una sfida culturale e un segno dei tempi»: così il cardinale Angelo Bagnasco definisce l’educazione – «arte delicata e sublime» – nella presentazione degli Orientamenti pastorali del nostro episcopato per il nuovo decennio. Con "Educare alla vita buona del Vangelo" – il cui testo integrale pubblichiamo oggi – la Chiesa italiana compie una scelta tematica forte e impegnativa. Che il presidente della Cei spiega ad Avvenire nelle sue molteplici implicazioni.Eminenza, perché l’educazione come tema di riferimento per l’attività pastorale della Chiesa italiana?«Si riparte dall’educare per una serie di ragioni convergenti. Anzitutto perché dopo il decennio dedicato a "Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia" è sembrato naturale mettere al centro l’educazione, giacché la fede è la proposta di una sequela che cambia l’uomo e lo rende ancora più umano. Non a caso il Vaticano II dice che "chi segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo". Come pastori, abitualmente accanto alla gente, percepiamo ogni giorno di più che c’è una pressante richiesta di umanizzare l’ambiente sociale, di ricostruire punti di riferimento valoriali e testimoniali. E questo richiede di "strappare" l’uomo dal torpore, richiamandolo all’essere. Questo è precisamente il compito educativo, a cui peraltro il Santo Padre ci richiama da tempo con alcuni suoi puntuali e lucidi interventi che hanno reso ancor più evidente la posta in gioco della cosiddetta "emergenza educativa". Del resto la scelta del prossimo decennio non è una novità assoluta. Da sempre la missione ecclesiale ha un’inconfondibile cifra educativa. Ci sono infatti un’esperienza e un patrimonio che la Chiesa sente di dover mettere a disposizione di tutti».La questione educativa è un tema che interessa da vicino tutta la società, e dunque parla non solo ai cattolici. Le sembra che nel Paese sia percepita l’importanza di questa sfida? «A me pare proprio di sì. Anzi ne sono personalmente convinto. Da quello che scorgo nelle visite pastorali, mi pare di cogliere un desiderio sincero che appartiene a tanti, anche lontani dalla vita ecclesiale. Emerge, cioè, sempre di più il desiderio che si riprenda a fare una proposta di vita, che si superi quell’atteggiamento rinunciatario per cui nessuno ha più niente da dire o da insegnare, che si reagisca a quella rassegnazione che sembra essere una moderna ripresentazione del fatalismo pagano, per cui tanto non possiamo nulla rispetto a quello che ci accade. Recenti episodi di cronaca nera, peraltro sempre presenti nella società, confermano la serietà della posta in gioco e sembrano reclamare una risposta adeguata che non può essere improvvisata, ma richiede un investimento di lungo periodo. Infatti la vita, in certi momenti, può chiedere di improvvisare, ma l’uomo, per improvvisare, non può essere improvvisato, deve essere pronto, formato».Quando si parla di educazione, il pensiero va ai più giovani. Qual è la strada per educare oggi le nuove generazioni?«L’atmosfera culturale oggi prevalente è segnata dal nulla. Nulla di senso, nulla di valore, nulla di rapporti veri e costruttivi. È il nichilismo. Ma la vita chiede il contrario. Infatti chiede semplicemente di essere guardata, compresa, accolta con responsabilità. Educare vuol dire aprirsi alla vita. Ciò evidentemente non è senza conseguenze. Ci vuole infatti la libertà. Si nasce liberi, è vero, ma bisogna imparare a essere liberi, altrimenti si pensa che la libertà sia fare tutto ciò che si vuole. La libertà invece è autodominio e responsabilità, è rispondere delle proprie scelte, e rispondere significa che c’è qualcuno attorno a noi, che si è sempre insieme ad altri, che le scelte sono personali ma mai individualistiche e indifferenti in forza dei rapporti che si vivono. La strada dunque è recuperare il gusto della verità e al tempo stesso il sapore della libertà. La verità infatti esige una ricerca disinteressata che non teme la fatica e il sacrificio, perché onestà vuole che ci si lasci giudicare dalla verità piuttosto che essere noi a costruirla su misura dei nostri bisogni, spesso indotti».L’emergenza educativa riguarda anche gli adulti, apparentemente a corto di modelli educativi, e loro stessi in difficoltà nel porsi come modelli credibili e autorevoli. Come si può rinnovare nelle figure educative la consapevolezza delle proprie responsabilità, perché non" rinuncino" ad educare?«Gli adulti per primi devono recuperare la fiducia nella vita e nel futuro e credere che educare non solo è doveroso ma ancor prima è possibile. È questa l’autorevolezza che ci si attende dagli adulti e che rispetto ai figli non teme di apparire superata. In concreto vuol dire imbattersi in adulti che si giocano nel rapporto educativo e non giocano a fare gli "amiconi". Educare, d’altra parte, richiede una relazione esplicita perché la generazione non è semplice trasmissione di contenuti, ma chiama in causa la vita. Il senso di abbandono e di solitudine, che spesso caratterizza il vissuto giovanile, a me pare il segno del rarefarsi di presenze adulte significative, di punti di riferimento rassicuranti. Così facendo si privano le giovani generazioni della fiducia, tanto che molti di loro sono portati a percepire il futuro più come una minaccia che come una promessa. Oggi i giovani si aspettano dagli adulti non l’abbandono, ma la presa in carico, anche quando questo dovesse comportare tensione e contrapposizione. Penso poi che gli adulti debbano intensificare le alleanze tra diversi soggetti educativi. I preti devono sentire i genitori come interlocutori e viceversa, così come tra docenti e famiglia il rapporto va sostenuto e non evitato. La tentazione di scaricare la responsabilità sugli altri non è intelligente, e non aiuta di certo a fare la propria parte con serenità».Gli Orientamenti parlano anzitutto alla Chiesa italiana: cosa si attende da diocesi, parrocchie e aggregazioni laicali sul fronte educativo?«Forse anche la comunità cristiana può fare di più, senza lasciarsi sopraffare dalla sensazione che sia impossibile una proposta educativa seria. Al contrario la parrocchia, le associazioni i gruppi e i movimenti laicali devono far riferimento anzitutto alla propria storia e ai grandi santi dell’educazione, che hanno operato in tempi diversi ma sicuramente non meno difficili e complessi di quelli di oggi: a ogni stagione la Chiesa ha saputo far emergere carismi e talenti educativi in grado di rispondere alle condizioni sociali e culturali, senza mai rinunciare al compito dell’evangelizzazione. Su un altro fronte si richiede oggi un’avvertenza esplicita: fare più rete. Ci vuole dunque una maggiore collaborazione e intesa tra i diversi educatori della comunità cristiana: non è pensabile che i catechisti se ne stiano da una parte e gli operatori della Caritas o quelli che fanno sport da un’altra, quasi che non avessero nulla da condividere della stessa passione educativa. In fondo le persone che ci sono affidate non sono scomponibili, e la proposta, per essere vincente, deve poter essere integrale, cioè rivolgersi all’uomo in tutte le sue dimensioni».Tra i tanti nodi educativi che si impongono, figura la formazione dei credenti a una coscienza che percepisca la centralità di quelli che il Papa e lei stesso, nel corso della recente Settimana Sociale, avete nuovamente definito come principi sui quali non è possibile alcuna mediazione. Come si affronta questo punto nevralgico in una società intrisa di relativismo culturale?«Su molte cose è possibile, anzi, è bene che si operi una buona mediazione; ma ci sono pure questioni e valori per i quali questo non è possibile, pena la distruzione dei valori stessi. Come è noto, la luce della Rivelazione giunge all’uomo attraverso la duplice fonte della Scrittura e della Tradizione. Pertanto la Chiesa è parte integrante della crescita della fede e di ogni esperienza educativa: grazie alla sua voce il credente è aiutato a discernere nelle circostanze sempre mutevoli l’attualità della Parola. Insieme alla via della fede oggi, poi, è necessario re-imparare la via della ragione per cogliere nell’essere dell’uomo, in quella che viene definita la "natura umana", i valori e i diritti fondamentali quelli, costitutivi della sua dignità. Su questa duplice via della fede e della ragione è possibile ritrovare il fondamento ultimo di ogni educazione veramente integrale».Un’altra agenzia educativa oggi sotto esame è la famiglia, fattore ancora decisivo nella tenuta sociale del nostro Paese. In che modo gli Orientamenti la riguardano, e come possono essere letti, accolti e tradotti da una famiglia?«Gli Orientamenti riaffermano la centralità unica e irripetibile della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Essa è e resta la cellula fondamentale della società in quanto è il grembo della vita, la prima scuola di umanesimo e, per chi crede, la sorgente della fede. L’incontro tra le diverse generazioni, che avviene nel cuore della famiglia, aiuta il giovane a scoprire e a gustare i valori della tradizione, della relazione, dell’autentica libertà e dell’amore. È nella famiglia che si fa l’esperienza della fiducia data e ricevuta e dell’amore come dono di sé; è nella famiglia – come afferma Papa Benedetto – che si plasma il volto di un popolo.E in che modo gli Orientamenti "parlano" alla scuola?«La scuola è un soggetto educativo di eccezionale valore, verso il quale la Chiesa guarda con estrema attenzione e rinnovata fiducia. Come nella più consolidata esperienza del nostro Paese, la Chiesa auspica una collaborazione sincera tra tutte le realtà (famiglia, scuola, comunità) perché nel rispetto delle competenze si realizzi un’alleanza in favore dell’educazione integrale. La scuola cattolica si inserisce in tale contesto, essendo – come è a tutti noto – una scuola pubblica e non privata, aperta dunque a tutti e con un profilo originale rispetto all’offerta formativa. Ciò che conta è aiutare tutti insieme la crescita di una comunità educante, cioè di un’atmosfera positiva che sappia generare uomini saggi e, quel che più conta, persone buone. Così, di generazione in generazione, si rinnova l’esperienza dell’educare che consiste nel riappropriarsi della libertà: per noi credenti, la libertà dei figli di Dio».
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