martedì 5 febbraio 2013
Il vescovo di Aleppo Audo: i vertici della Chiesa non parteggiano per nessuno, ma molti tra i cristiani temono i cambiamenti. (Gianni Cardinale)
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«Manca il cibo e fa freddo. Non c’è elettricità. Ho passato gli ultimi mesi in episcopio senza riscaldamento e per me è stata molto dura. Immaginate come può vivere la povera gente. E soprattutto non c’è più sicurezza». Il vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo, gesuita, racconta con parole semplici e nette la realtà dei cristiani nella sua città e nel suo Paese. Avvenire lo incontra a Roma al termine del Sinodo caldeo che ha visto l’elezione del nuovo patriarca. Qual è la situazione dei cristiani in particolare?I cristiani sono come tutti gli altri. Ma sono ulteriormente deboli perché sono una minoranza. E quando lo Stato non garantisce la sicurezza, ed esplodono i fanatismi, le minoranze sono minacciate in modo particolare. Ecco perché i cristiani, e questa è una grande sofferenza per noi vescovi, fuggono verso il Libano, il Canada, gli Stati Uniti, l’Australia.In pratica quello che era successo in Iraq, sta accadendo anche in Siria.Esattamente. Anche da noi i cristiani erano ben inseriti nella società. Ora con la mancanza di sicurezza tutto questo cambia.I cristiani sono stati considerati un puntello dell’attuale regime siriano. Sta cambiando qualcosa?Difficile dire. Per essere chiari, i vertici delle comunità cattoliche non fanno dichiarazioni a favore di quello o dell’altro. Noi siamo per la Siria. Noi siamo per le riforme. Ma è vero che i cristiani hanno paura dei cambiamenti quando vedono quello che è successo in Egitto, Tunisia e Libia.Quindi c’è paura di una deriva estremista?Sì c’è questa paura.Quale può essere una soluzione al conflitto?Dialogo e riforme. Ciascun gruppo deve riconoscersi come una particolarità che deve accettare le altre particolarità, senza cercare di eliminarle.Quale può essere il ruolo della comunità internazionale?Obbligare le parti al dialogo e alle riforme.Quali riforme?Pluralismo politico e partitico, elezioni libere, un lavoro di educazione tesa ad accettare l’altro, il differente.Benedetto XVI è più volte intervenuto con appelli a favore di una evoluzione positiva in Siria.Infatti durante il suo viaggio in Libano ha parlato almeno tre volte del nostro Paese. Ha chiesto che non vengano date armi a chi fa la guerra, ha invitato i giovani a rimanere nel proprio Paese, ha pregato per noi. Oggi (ieri per chi legge, ndr) incontrandolo in udienza l’ho ringraziato per queste sue parole. Il Papa è davvero molto attento e partecipe del dolore del nostro popolo.
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