venerdì 5 luglio 2013
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Alla trilogia di Benedetto XVI sulle virtù teologali mancava un pilastro. La Provvidenza ha voluto che il pilastro mancante fosse un dono del Papa emerito al suo successore e nello stesso tempo un simbolo d’unità, poiché assumendo e portando a compimento l’opera intrapresa dal suo predecessore, Papa Francesco rende testimonianza con lui dell’unità della fede. La luce della fede è così consegnata dall’uno all’altro pontefice, come nelle corse allo stadio, grazie «al dono della successione apostolica» mediante la quale «è assicurata la continuità della memoria della Chiesa» come pure la «certezza di attingere alla sorgente pura dalla quale scaturisce la fede» (49). Noi proviamo dunque una gioia particolare nel ricevere l’Enciclica Lumen Fidei, la cui modalità condivisa di trasmissione illustra in maniera straordinaria l’aspetto più fondamentale e originale da essa sviluppato, la dimensione della comunione nella fede. Questa enciclica parla in realtà esprimendosi in un "noi" che non è maiestatis ma bensì di comunione. Essa parla della fede come d’una esperienza di comunione, di dilatazione dell’io e di solidarietà nel cammino della Chiesa con Cristo per la salvezza dell’umanità. Io mi limiterò a illustrare questo punto di vista. L’Enciclica presenta veramente la fede cristiana come una luce proveniente dall’ascolto della Parola di Dio nella storia. Una luce che mostra l’amore di Dio all’opera per stringere un’alleanza con l’umanità. Questa luce già si lascia percepire nelle opere del Creatore ma risplende come amore nella vita, nella morte e nella risurrezione di Gesù Cristo. In Lui, la luce dell’Amore irrompe nella storia e offre agli uomini una speranza che infonde il coraggio di camminare insieme verso un avvenire di piena comunione. «Cristo è colui che, avendo sopportato la sofferenza, "dà origine alla fede e la porta a compimento"», ci dice la Lettera agli Ebrei, ampiamente ripresa dall’Enciclica (Eb 12,2) (57). Oggettivamente, la luce della fede orienta il senso della vita, porta conforto e consolazione ai cuori inquieti e abbattuti, ma impegna anche i credenti a porsi a servizio del bene comune dell’umanità attraverso l’annuncio e l’autentica condivisione della grazia ricevuta da Dio. Ecco dunque che la fede chiama i credenti ad abbracciare la sofferenza del mondo, come San Francesco e la Beata Madre Teresa, al fine di spargere in esso la luce di Cristo. «La fede non è una luce tale da dissolvere tutte le nostre tenebre, ma la lampada che guida i nostri passi nella notte, e ciò è quanto basta per il cammino», afferma l’Enciclica (57). Soggettivamente, la fede è un’apertura all’Amore di Cristo, un accogliere, l’entrare in una relazione che allarga l’"io" alle dimensioni di un "noi" che non è soltanto umano, nella Chiesa, ma che è propriamente divino, e cioè una partecipazione autentica al "Noi" del Padre e del Figlio nello Spirito Santo. L’Enciclica insiste su questo fondamento trinitario che costituisce la fede come realtà a un tempo personale ed ecclesiale: «Questa apertura al "noi" ecclesiale si verifica come l’apertura stessa dell’amore di Dio, che non è soltanto relazione tra Padre e Figlio, tra "me" e "te", ma che è anche nello Spirito un "noi", una comunione tra persone» (39). In questa luce cristologica, trinitaria ed ecclesiale, la confessione della fede acquista la sua espressione concreta con la celebrazione dei sacramenti del battesimo, della confermazione e dell’Eucaristia, in cui «il credente afferma che il centro dell’essere, il segreto più profondo d’ogni cosa, è la comunione divina» (45). Egli si trova allora «coinvolto nella verità da lui confessata» e per questo stesso fatto trasformato e «introdotto in una storia d’amore che lo afferra, che dilata il suo essere rendendolo membro d’una grande comunione», la Chiesa (45). A partire da questo "Noi" trinitario che si prolunga nel "noi" ecclesiale, l’Enciclica si riallaccia in modo del tutto naturale al "noi" della famiglia che è il luogo per eccellenza di trasmissione della fede (43). Da un lato, ciò è ben chiaro nell’esperienza del battesimo dei bambini dove i genitori, il padrino e la madrina confessano la fede in nome del piccolo, accogliendolo così nella fede della Chiesa che sempre ci precede. Da un altro lato – ricorda l’Enciclica – sussistono profonde affinità tra la fede e l’amore senza fine che si promettono l’uomo e la donna che si uniscono in matrimonio. «Promettere un amore che sia per sempre è possibile quando si scopre un disegno più grande dei propri stessi progetti, che ci sostiene e ci permette di far dono alla persona amata dell’avvenire tutto intero» (52). Così, grazie alla fede, l’amore degli sposi ha più garanzia di durare e di unire le generazioni nella gioia della fedeltà e del servizio della vita. «La fede non è un rifugio per coloro che sono privi di coraggio, ma un’espansione della vita», conclude l’Enciclica, che vede la famiglia come «il primo ambito in cui la fede rischiara la città degli uomini» (52). L’Enciclica aggiunge un considerevole sviluppo riguardo la pertinenza della fede per la vita sociale, per l’edificazione della città nella giustizia e nella pace, grazie al rispetto d’ogni persona e della sua libertà, grazie alle risorse di compassione e di riconciliazione da lei offerte per il conforto delle sofferenze e la composizione dei conflitti. «Sì, la fede è un bene per tutti, è un bene comune» (51). La tendenza a confinare la fede nella sfera della vita privata si trova qui confutata in toni pacati, ma in maniera decisiva. Molti aspetti in precedenza sviluppati dalle encicliche sulla carità e la speranza trovano il loro complemento in questa messa in luce della fede come comunione e servizio del bene comune. «Le mani della fede s’innalzano verso il cielo ma nello stesso tempo, nella carità, esse edificano una città, sulla base di rapporti che hanno a fondamento l’amore di Dio» (51). «Se togliamo la fede dalle nostre città, si indebolirà la confidenza tra di noi» (55). In breve, mediante la fede Dio vuole «rendere solide le relazioni tra gli uomini» (ib.), Egli spera che si realizzi la «grandezza della vita in comune ch’egli rende possibile» con la grazia della sua presenza (55). In chiusura, l’Enciclica contempla Maria, la figura per eccellenza della fede, colei che ha ascoltato la Parola e l’ha conservata nel suo cuore, colei che ha seguito Gesù e che si è lasciata trasformare «entrando nello sguardo del Figlio di Dio incarnato» (58). Papa Francesco riafferma al termine con il suo predecessore una verità della fede messa in disparte e a volte in certi ambienti persino posta in dubbio: «Nella concezione verginale di Maria abbiamo un chiaro segno della filiazione divina di Cristo. L’origine eterna di Cristo è nel Padre, egli è il Figlio in un senso totale e unico; e per questo egli nasce nel tempo senza l’intervento di un uomo» (59). Accogliamo dunque con grande gioia e gratitudine questa confessione di fede integrale sotto forma di catechesi a quattro mani dei successori di Pietro. Essi espongono insieme la fede della Chiesa nella sua bellezza che «si confessa dall’interno del corpo di Cristo, come comunione concreta dei credenti»(22).
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