mercoledì 11 giugno 2014
Il Patriarca di Venezia al settimanale diocesano sull'inchiesta che sta scuotendo la città: «Momento difficile e faticoso per tutti, anche se con responsabilità ben distinte».
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«prima di ergersi a giudici di una situazione che è ancora in divenire, è bene riflettere con pacatezza», raccomanda monsignor Francesco Moraglia, patriarca di Venezia, riflettendo sugli sviluppi giudiziari delle presunte tangenti per il Mose. Con coraggio, però, bisogna farsi un esame di coscienza. «È urgente, e quanto mai utile - in attesa che i fatti siano accertati e i giudizi emessi - avviare da subito un serio esame di coscienza - è l’invito del patriarca dalle pagine del settimanale della diocesi, Gente Veneta -. Un esame di coscienza che, per protagonisti, deve avere la città e la Chiesa che è in Venezia».Si tratta di riflettere senz’altro sull’esigenza di legalità. Ma anche su quella di giustizia. «Non basta parlare del valore della legalità. Bisogna parlare della giustizia e motivare, soprattutto di fronte ai giovani, le ragioni della giustizia. E spiegare che è essenziale, per ciascuno e per tutti, avere per meta la giustizia che va sempre vista in un triplice orizzonte. C’è una giustizia legale, che riguarda la responsabilità del singolo nei confronti della società, in vista del bene comune. C’è poi una giustizia commutativa, che regola i rapporti personali nei confronti dell’altro. E, infine, una giustizia distributiva, che si sofferma sulle azioni dello Stato nei confronti del cittadino, tra cui soprattutto la ridistribuzione del reddito».Per Moraglia è l’insieme di queste "giustizie" che, «innanzitutto, noi adulti dobbiamo re-imparare e poi testimoniare ed insegnare ai giovani che, non dimentichiamolo, ci guardano». In un momento di navigazione così pesante, con l’acqua alta che rischia di sommergere la città, per il patriarca non ci sono dubbi: «Bisogna tenere la barra dritta, a dispetto dei venti impetuosi che vorrebbero condurre la nave di qua o di là». È un invito che Moraglia fa anche all’informazione. «Quant’è più facile lasciarsi portare dal vento... Ma sarebbe debolezza, o almeno leggerezza. Con il pericolo di non giungere alla meta che, pur nella tempesta di questi giorni, si chiama giustizia». Il patriarca ammette di vivere gli eventi con trepidazione e speranza. Sì, anche con speranza. Osserva, infatti, che la situazione può essere letta come «momento di grazia e di speranza», se fa scaturire davvero un esame di coscienza. Un esame per  ridefinire le priorità nella nostra vita individuale e collettiva, anche - dice - nella vita della nostra Chiesa.

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