martedì 31 marzo 2020
Il nuovo volto della convivenza nella città toscana. Monsignor Nerbini: responsabili gli uni degli altri. Insieme nella prova oltre le differenze, anche con chi ha origini diverse
Il vescovo di Prato, Giovanni Nerbini, con il Sacro Cingolo della Madonna

Il vescovo di Prato, Giovanni Nerbini, con il Sacro Cingolo della Madonna - Diocesi di Prato

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Era deserta piazza del Duomo a Prato quando il vescovo Giovanni Nerbini, insieme con il sindaco, si è affacciato dal pulpito di Donatello all’esterno della Cattedrale di Santo Stefano. Al pari di piazza San Pietro mentre papa Francesco la attraversava o impartiva la straordinaria benedizione Urbi et Orbi. Nerbini, però, non aveva fra le mani il Santissimo Sacramento, come il Pontefice, ma la reliquia del Sacro Cingolo della Madonna, “segno” che da secoli unisce il volto religioso e quello laico di Prato. E, benché vuota, era come se davanti al Duomo fosse presente l’intera città per chiedere la fine della pandemia. Compresa la comunità cinese, la più numerosa che un centro italiano accolga. «In poche settimane il virus ha abbattuto i muri che quasi trent’anni di convivenza fra italiani e cinesi non erano riusciti a scalfire», spiega il vescovo.


Non lo dicono soltanto i numeri: Prato è una delle province dove i contagi restano relativamente bassi. Annullando ogni malevolo stereotipo su chi affonda le radici in Asia. «Qui non c’è stato alcun atto di discriminazione – racconta Nerbini –. Anzi, tutti hanno riconosciuto l’eccellente modo di porsi dei nostri amici cinesi in mezzo all’emergenza sanitaria. Spesso si continua a vedere lo straniero come l’invasore, quasi un nemico che ti ruba qualcosa. Il coronavirus ci ha fatto riscoprire il senso di prossimità anche verso coloro che hanno origini o culture differenti. Siamo tutti persone che condividono un comune destino in un medesimo luogo e che, come nell’attuale crisi, hanno la stessa cura di proteggersi l’uno con l’altro. La comunità cinese si è imposta regole che hanno permesso di contrastare la diffusione del morbo e le ha rispettate. Per questo nessuno ha mai gridato all’untore, ma sono stati riconosciuti gli sforzi che il più ampio gruppo etnico cittadino ha fatto e sta facendo».

Il vescovo di Prato, Giovanni Nerbini, con il Sacro Cingolo della Madonna

Il vescovo di Prato, Giovanni Nerbini, con il Sacro Cingolo della Madonna - Diocesi di Prato

Nella prova la Chiesa si conferma punto di riferimento che travalica le appartenenze. Come testimonia a Prato l’ostensione straordinaria del Sacro Cingolo per affidarsi alla protezione della Vergine. «Sono spesso le difficoltà che uniscono la società. Magari rendono le persone più vulnerabili ma anche più bisognose di aiuto – sottolinea il vescovo –. Ecco perché questa pandemia è un richiamo a cambiare mentalità o, se ci affidiamo a un vocabolo della nostra tradizione di fede, alla conversione». Di fronte alla città Nerbini ha detto che, una volta passato il pericolo, nulla sarà più come prima. «Se è capitato a più riprese che l’uomo abbia dimostrato di non avere imparato dai propri errori o da quanto gli viene messo di fronte – chiarisce il presule – stavolta siamo chiamati a cogliere l’involontaria lezione che ci viene dall’attuale congiuntura storica. Infatti ha mostrato tutti i suoi limiti la società dei consumi e del benessere, che sarebbe meglio chiamare del “bene-avere”. In un attimo è crollata. Questo ci deve far pensare. Allora dico: dobbiamo trasformare i nostri stili di vita e il nostro approccio con gli altri. A Prato è accaduto con la comunità cinese, appunto. Ciò significa sentirsi responsabili del prossimo ed esserlo in prima persona. Ritengo che adesso stiamo sperimentando la globalizzazione della solidarietà che è l’opposto rispetto agli egoismi individuali o addirittura nazionali. Il virus insegna che non è possibile salvarci da soli. Se ne stanno rendendo conto anche coloro che chiedevano di alzare steccati nei confronti di chi giungeva da fuori». Una pausa. «Facciamo di questo frangente – conclude Nerbini – un tempo di allenamento per cominciare a pensare in maniera veramente diversa, impostando rapporti rinnovati e cercando differenti forme di collaborazione per costruire insieme un futuro migliore. Una sfida che richiede anche una nuova spiritualità. Ed è un impegno che vale per tutti, non solo per i cristiani».

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