sabato 25 novembre 2017
Il vescovo sarà l’unico a decidere sui processi di nullità in forma breviore. Il Papa lo ha dichiarato nel discorso che ha rivolto ai partecipanti al corso promosso dal Tribunale della Rota Romana
Il Papa: il vescovo sia unico giudice per il processo breve di nullità
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A due anni dalla pubblicazione dei Motu proprio “Mitis Iudex Dominus Iesus” e “Mitis et misericors Iesus”, Papa Francesco ha deciso “di precisare definitivamente alcuni aspetti fondamentali” dei due provvedimenti che hanno introdotto nuove procedure per le cause di nullità matrimoniale. E in particolare di precisare “la figura del Vescovo diocesano come giudice personale ed unico nel Processo breviore”, cioè di quel processo più rapido rispetto a quelli ordinari trattati dai tribunali diocesani e interdiocesani.

Lo ha fatto ricevendo in udienza questa mattina i partecipanti al Corso promosso dal Tribunale della Rota Romana sul tema Il nuovo processo matrimoniale e la procedura Super Rato.

Anche dopo la promulgazione dei motu proprio, rileva Papa Francesco, il principio che il vescovo forma un unico tribunale insieme al suo vicario giudiziale (“iudex unum et idem cum vicario iudiciali”) viene "interpretato in maniera di fatto escludente l’esercizio personale del vescovo diocesano, delegando quasi tutto ai Tribunali”. Ecco quindi la necessita di definire regole più stringenti affinché tale principio venga rispettato.

Il Pontefice ribadisce che il “processo breviore” perché sia valido deve sottostare a “due condizioni inscindibili”, e cioè “l’episcopato e l’essere capo di una comunità diocesana di fedeli”. Quindi se manca una delle due condizioni “il processo breviore non può aver luogo” e così “l’istanza deve essere giudicata con il processo ordinario”.

Il processo breviore poi, rimarca il Papa, “non è un’opzione che il vescovo diocesano può scegliere ma è un obbligo”. Egli quindi è “competente esclusivo” nelle tre fasi del procedimento. L’istanza cosi “va sempre indirizzata al vescovo diocesano”. Anche l’istruttoria poi deve essere condotta dal vescovo “sempre coadiuvato dal vicario giudiziale o da altro istruttore, anche laico, dall’assessore, e sempre presente il difensore del vincolo”. E se il vescovo “fosse sprovvisto di chierici o laici canonisti, la carità, che distingue l’ufficio episcopale, di un vescovo viciniore potrà soccorrerlo per il tempo necessario”. Tenendo presente che che “il processo breviore deve chiudersi abitualmente in una sola sessione, richiedendosi come condizione imprescindibile l’assoluta evidenza dei fatti comprobanti la presunta nullità del coniugio, oltre al consenso dei due sposi”. Infine la decisione “da pronunciare coram Domino” (Davanti al Signore), è “sempre e solo del vescovo diocesano”.

Papa Francesco quindi avverte che “affidare l’intero processo breviore al tribunale interdiocesano (sia del viciniore che di più diocesi) porterebbe a snaturare e ridurre la figura del vescovo padre, capo e giudice dei suoi fedeli a mero firmatario della sentenza”. Ed esortando i vescovi diocesani ad attuare “quanto prima il processo breviore”, spiega che nel caso non si ritenessero pronti “nel presente ad attuarlo”, devono “rinviare la causa al processo ordinario, il quale comunque deve essere condotto con la debita sollecitudine”.

Papa Francesco infine ribadisce che le cause matrimoniali vengano trattate con il principio della “prossimità” e della “gratuità”. E precisa che per quanto riguarda la competenza “nel ricevere l’appello contro la sentenza affermativa nel processo breviore” la normativa attuale conferisce al Decano della Rota “una potestas decidendi nuova e dunque costitutiva sul rigetto o l’ammissione dell’appello”. E che “ciò avviene senza chiedere il permesso o l’autorizzazione ad altra Istituzione oppure alla Segnatura Apostolica”.

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