giovedì 11 aprile 2013
​L'esperienza della parrocchia dell'Ascensione: accanto ai fedeli cinesi, un «ponte» di integrazione
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A Prato sulla facciata della parrocchia dell’Ascensione una scritta in ideogrammi spiega che quella è una chiesa cattolica. Accanto alla porta gli avvisi annunciano che ogni domenica pomeriggio la Messa viene celebrata in cinese ed è preceduta o seguita dalla catechesi. «In troppi hanno lasciato la memoria e i parenti nel nostro Paese d’origine. Ecco perché, quando iniziano a frequentare la nostra chiesa, sentono di aver trovato una seconda famiglia», racconta don Francesco Saverio Wang, anche lui cinese, che da quattro anni è il cappellano della piccola comunità cattolica che parla la lingua dei Ming ma è germogliata nella città toscana. Meno di duecento credenti, figli di «un sottoproletariato industriale che lavora dalle dodici alle sedici ore ogni giorno e non conosce feste o domeniche», afferma padre Francesco Brasa. Lui è uno dei frati minori francescani che, dopo aver vissuto nel campo Rom di Sesto Fiorentino, ha scelto come terra di missione la Chinatown di Prato, una fra le più grandi d’Europa. Vie e insegne rimandano al Gigante asiatico. «Eppure il Vangelo è entrato anche qui, riuscendo a superare barriere che a prima vista sembravano invalicabili», riferisce monsignor Santino Brunetti, vicario episcopale per i migranti. Ed ecco che la parrocchia dell’Ascensione può essere considerata un simbolo della Chiesa toscana che sa armonizzare «la propria millenari identità con l’accoglienza e l’incorporazione di culture e sensibilità diverse», aveva sottolineato Benedetto XVI a Sansepolcro lo scorso 13 maggio nella sua unica visita in Toscana. «Del resto – afferma monsignor Brunetti – se non praticassimo l’incontro con l’altro, non saremmo fedeli discepoli del Signore». Così, passo dopo passo, la diocesi si è aperta alla città «sommersa» dei 30mila. Con lo stile del Samaritano, è iniziato un dialogo che oggi si traduce in corsi d’italiano, assistenza legale, sostegno concreto e che ha il suo fulcro nella parrocchia «cinese». «Annunciamo il Risorto affidandoci alla pedagogia della carità», chiarisce don Wang. E il sacerdote svela la domanda che molti dei «nuovi» fedeli si sono posti prima di mettere piede in chiesa: «Perché mai questi cristiani mi aiutano senza chiedere nulla in cambio?». «In realtà fra i cinesi c’è una sorprendente disponibilità a incontrare l’assoluto – spiega padre Francesco –. Persino gli adolescenti hanno una spiccata curiosità spirituale». Accade, quindi, che fra Pasqua e Pentecoste si celebrino ogni anno Battesimi di ragazzi o adulti. L’istituzione della cappellania per l’etnia cinese è stato il sigillo che ha sancito l’attenzione di una Chiesa impegnata a «promuovere la vita cristiana», aveva detto papa Ratzinger ad Arezzo. Magari con segni che toccano le coscienze. Come la Via Crucis nella Chinatown cittadina che «è utile anche ai pratesi per vincere i sospetti verso lo straniero», riferisce monsignor Brunetti. O i pellegrinaggi organizzati dalla cappellania che, conclude don Wang, «fanno toccare con mano ai miei connazionali i tratti sconosciuti della storia della Chiesa che così profondamente ha inciso nel Paese dove si sono trasferiti, l’Italia».
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