domenica 27 marzo 2016
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INVIATA INMESSICO Una pistola, racchiusa da una cornice sgargiante e circondata di lacrime. Il profilo stilizzato di una padella, accanto a un libro. Pochi centimetri di pelle separano i due tatuaggi. Eppure, in quello spazio, quasi impercettibile, si nasconde l’insormontabile distanza tra il passato e il futuro di William. «La pistola rappresenta ciò che ero prima: un ' pandillero' ». Così si definiscono i ragazzi 'affiliati' a una delle centinaia di gang che affollano le periferie messicane. William non può rivelare, per ragioni di sicurezza, il nome della 'sua' banda. Dice, però, che «era del quartiere ». Cioè di Gustavo Madero, la 'cerniera' tra la zona più povera della Villa di Guadalupe - dove si trova la storica Basilica di Città del Messico - e Ecatepec, il sobborgo satellite più affollato della capitale, dove, il 14 febbraio scorso, papa Francesco ha celebrato la Messa. Con i suoi quasi tre milioni di abitanti stretti in uno spazio angusto, dimenticati dallo Stato - che qui di fa vivo solo in occasione delle elezioni, elargendo spiccioli e alimentando la corruzione -, stremati dalla disoccupazione, la zona è un 'vivaio' per le ' pandillas'. William, che ora ha 25 anni, vi è entrato a 9. «E vi sono rimasto, in pratica, fino a un anno fa. La banda mi dava protezione, sostegno, identità. Cose che, però, ora ho capito di poter trovare altrove. Per esempio, qui', racconta il ragazzo ad Avvenire nella sede di Cauce Ciudadano, a Gustavo Madero. Nell’incontro e nel lavoro con l’organizzazione, William ha maturato la svolta 'impressa' sul braccio sinistro. «Questo tatuaggio – dice, indicando il secondo disegno – esprime la mia nuova vita, fuori dalla banda. Sto studiando all’istituto alberghiero e vorrei diventare cuoco. Ecco perché ho scelto come simbolo la padella e il libro». Un cambiamento che William – insieme agli altri 5.700 ragazzi strappati alle gang grazie a Cauce – condivide con i coetanei. «Andiamo nelle scuole e nei centri di aggregazione. E raccontiamo la nostra esperienza». Proprio il fatto che siano gli stessi ex pandilleros a fare sensibilizzazione anti-gang è la 'chiave' dello straordinario impatto di Cauce Ciudadano, fondato 16 anni fa da Carlos Cruz. L’organizzazione è attiva ormai in sette Stati messicani ed è parte della rete globale anti-mafia Alas di Libera International. A vederlo, questo 42enne tarchiato, dal sorriso largo e lo sguardo pungente, si fa fatica a pensare che abbia trascorso tredici anni in una banda, diventando un vero e proprio 'capo'. «E, invece, sì. In pratica ci sono cresciuto. Sono nato nella colonia Rio Blanco, non tanto lontano da Gustavo Madero. Tutti i ragazzini erano in una gang. Non avevano molta scelta: o subire o esercitare la violenza. Così, sono entrato nella banda a 13 anni e ne sono uscito a 26, quando ho deciso di creare Cauce», racconta. Carlos, però, non si definisce un 'ex pandillero'. «Sono tuttora un pandillero. Solo non 'combatto' più a servizio del crimine, ma per la pace e la giustizia. Sai che cosa mi ha convinto a cambiare vita? La consapevolezza che i grandi boss ci impiegavano come 'carne da cannone'. Bassa manovalanza 'usa e getta' per spaccio, furti, assalti. Quando le cose si mettevano male i ragazzini venivano 'sacrificati', mentre loro, i vertici si arricchivano». Ora, con la trasformazione delle mafie d»l narcotraffico in multinazionali del crimine, la situazione è ulteriormente peggiorata. «I narcos 'arruolano' le pandillas per i 'lavori più sporchi'. E pericolosi… I ragazzi, in questa logica, sono 'pedine' facilmente sostituibili». Una drammatica verità che Carlos e i suoi ragazzi raccontano in scuole, associazioni, carceri. «Le storie di vita vissuta sono armi potenti. Con queste combattiamo il crimine, come ' pandillas' di pace». © RIPRODUZIONE RISERVATA Voci e volti Dall’America Latina al nostro Paese il racconto di chi ha avuto il coraggio e la forza di cambiare radicalmente il proprio orizzonte, in virtù dell’impegno personale e del sostegno ricevuto dalla comunità. Come William che grazie all’organizzazione Cauce Ciudadano ha lasciato le bande criminali e oggi aiuta altri giovani ad uscirne. Un disegno sulla pelle a ricordo della sua «trasformazione» La visita di Francesco nel febbraio scorso MESSICO A Ciudad Juarez una delle città più colpite dalla criminalità legata soprattutto al narcotraffico manifestazione di giovani contro la violenza
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