mercoledì 3 ottobre 2012
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​Anno 1907, Pistoia: a tema c’erano i contratti di lavoro e l’organizzazione sindacale. Brescia, 1908, la condizione operaia e le questioni agrarie. Firenze, 1909, cattolicesimo sociale ed economia moderna... E via così tra Costituzione (1945), diritti dell’uomo (nel ’68), la nuova Europa (1991), i nuovi poteri (2004). Scorrendo i titoli delle 46 Settimane sociali passate, insomma, da una parte si ha quasi un “bignami” della storia sociale italiana degli ultimi cento anni, e dall’altra è lampante che mai si è potuto prescindere dalla famiglia, il luogo in cui ogni evento si radica o quanto meno ha i suoi effetti. «Eppure questa volta si è scelto di dedicarle esplicitamente il titolo», nota Luca Diotallevi, docente di Sociologia all’università di Roma Tre e dal 2008 vicepresidente del Comitato scientifico organizzatore delle Settimane sociali.Come mai questa messa a fuoco ulteriore della questione famiglia?Per tre motivi. Primo, la famiglia è uno degli attori che produce il bene comune, quindi noi continuiamo a occuparci della civitas, guardandola da questo punto di vista. Come ha detto l’arcivescovo Nosiglia, non è una contrapposizione, ma l’individuazione di un elemento, necessario e non sufficiente, al bene comune. Secondo, perché in una civitas in cui la famiglia è in salute ci sono molte più energie e più libertà. Infine perché il «favor familiae» della Carta Costituzionale è la dimostrazione viva che sul valore della famiglia nella sua specificità si può convergere tra tutti senza togliere diritti a nessuno.Qual è allora lo stato di salute della famiglia in Italia?Quello che la Costituzione e la dottrina sociale della Chiesa intendono per famiglia, cioè una donna e un uomo uniti in matrimonio (religioso o civile che sia) con una relazione aperta alla vita, è un principio che storicamente ha infinite declinazioni. I principi non cambiano, ciò che muta sono i modelli: ad esempio la famiglia degli inizi del ’900 (in stile libro Cuore, visto che siamo a Torino), e quella degli anni ’50 erano modelli entrambi buoni e molto diversi l’uno dall’altro perché diverse erano le due società. Noi oggi invece dobbiamo ancora trovare la forma adeguata alla famiglia, sempre intesa come la relazione stabile e aperta alla vita tra un uomo e una donna, nella modernità avanzata. Dobbiamo cioè riuscire a inventare un modello che esprima la società dei nostri giorni senza sovvertire i princìpi. Facciamo un esempio. Noi oggi, dopo il Concilio Vaticano II, dopo Paolo VI e dopo Giovanni Paolo II, abbiamo capito che le donne hanno fatto benissimo a liberarsi da certe oppressioni, ma il problema è: come ricostruire una famiglia adeguata alle nuove conquiste? E questa è solo una delle sfide.Perché a volte è così difficile far passare il messaggio costruttivo?Perché non si può solo enunciare i princìpi e poi lasciarli lettera morta, eppure questo accade in Italia, a differenza di altre nazioni europee ed extraeuropee, che passano alla prassi e hanno un modello di società nuova, cambiata, seppure fedele ai princìpi, dove la famiglia è davvero sorretta, dotata di risorse, difesa concretamente. L’Italia non ha saputo stare al passo con i tempi.Che aiuto concreto allora può venire dalla settimana sociale dei cattolici?Il suo compito è dare idee che mostrino con grande franchezza e realismo la fecondità del Vangelo nelle diverse circostanze. Una sfida coraggiosa sarà farlo a Torino, perché qui la modernità italiana è insieme più avanzata e più affaticata, ma proprio per questo il dialogo sarà più vivace.
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