martedì 25 novembre 2014
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Stanchezza. È questo il termine usato da papa Francesco, nel giugno scorso, per sintetizzare in una sola parola il malessere che attraversa oggi l’Europa. Anche al Vecchio Continente, infatti, ha esteso quella rivoluzione della misericordia che costituisce il leit-motiv del suo pontificato. Si è anzitutto interessato dei problemi e dei bisogni degli europei, piuttosto che denunciare le difficoltà e gli ostacoli che essi pongono alla Chiesa. Non ha ricordato, in primo luogo, le asprezze della secolarizzazione e la rimozione delle radici cristiane, ma ha sottolineato in primis lo scandalo di quindici milioni di giovani che non studiano e non lavorano, un bel di pezzo di generazione "scartato", così come sono spesso "scartati" anziani e disabili. E parlando di stanchezza ha colto il bisogno più profondo degli europei di oggi e cioè la domanda di cura, di speranza, di rinascita che scaturisce da tale stanchezza. L’Europa, infatti, si è cacciata in un vicolo cieco. È anzitutto il vicolo cieco dell’invecchiamento della popolazione: difficile vincere la stanchezza se scarseggiano energie giovani. In realtà, nuove energie stanno affluendo: sono quelle degli immigrati e dei rifugiati che cercano una terra dove vivere, sfuggendo alla fame e alla guerra. Ma molti europei non riconoscono in loro una ricchezza, come li ha definiti Francesco, li considerano invece un problema e un pericolo. A frenare oggi l’Europa è anche la fatica della complessità. Le istituzioni dell’Unione Europea, tra le più avanzate del mondo e imitate in tutti i continenti, appaiono a volte un labirinto in cui gli europei si perdono, facendosi del male da soli. Dietro infinite discussioni su austerità e crescita, emerge la tentazione della contrapposizione semplificatrice tra Nord e Sud, tra protestanti e cattolici, tra ricchi e poveri. L’Europa è, inoltre, attraversato da impulsi autodistruttivi, come un antieuropeismo sempre più diffuso e la moltiplicazione delle spinte secessioniste, dalla Scozia alla Catalogna. Tentazioni egoistiche contro cui Francesco ha chiaramente preso posizione. E, infine, soffre soprattutto per mancanza di visione: non riesce a immaginarsi il suo futuro, sembra quasi non provarci nemmeno. La stanchezza non deriva solo da una serie di problemi irrisolti: è anche una sorta di ideologia, quella preannunciata cento anni fa dal "Tramonto dell’Occidente", il libro di Oswald Spengler sulla decadenza dell’Europa per la concorrenza di altre civiltà. Da un secolo gli europei hanno cominciato a guardare indietro e a rimpiangere un passato che stava cominciando a passare, quello di un’espansione illimitata, di una prevalenza politica e militare assoluta, di una superiorità tecnologica e industriale senza pari. La paura del declino ha ispirato reazioni patologiche come il totalitarismo nazista: la fobia per un potere di altri e la ricerca di uno spazio vitale sempre più grande hanno scatenato nel cuore dell’Europa la persecuzione contro milioni di innocenti, la Shoah. Anche la «grande illusione» comunista, come la chiamava Furet, non è stata del tutto estranea a questa paura. Oggi l’ideologia cupa e negativa del Tramonto dell’Occidente ha assunto forme nuove, ispira la logica dello scontro di civiltà, alimenta la xenofobia e il razzismo. E quando non prevale il rimpianto per posizioni perdute, si diffonde comunque un senso di impotenza e di ripiegamento che coinvolge anche i giovani. Ci voleva un Papa non europeo, estraneo a nostalgie del passato o a sensi di decadenza, per ridare speranza al «continente della paura», come lo chiama Dominique Moisi. Francesco ha già cominciato a farlo iniziando il suo viaggio in Europa non dal centro del potere europeo, ma dalle periferie. Recandosi a Lampedusa, ha indicato che la più importante frontiera da presidiare è oggi per gli europei quella dell’accoglienza a rifugiati ed immigrati. Visitando un piccolo Paese come l’Albania, che non fa parte dell’Unione Europea, ha testimoniato l’urgenza di un sistema economico-finanziario meno iniquo. Vivendo il primato dell’incontro con i poveri, insomma, ha anche indicato all’Europa la strada per ritrovare la propria identità. Appesantita dal confronto con il suo passato, infatti, questa fa fatica a vedere e ad apprezzare ciò che pure è in grado di offrire a tutto il mondo, non più in chiave di dominio sugli altri popoli, ma di pacifica convivenza tra le diverse civiltà, come settant’anni senza guerre, una ricca esperienza in difesa dei diritti umani, l’abolizione della pena di morte. Il Vecchio Continente, post-moderno e relativista, non ha solo bisogno di verità ma anche di senso: dopo «aver preso congedo dalla storia», come ha detto Benedetto XVI, deve ritrovare la sua strada. Ed è la strada che dal centro conduce alle periferie.
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