martedì 18 settembre 2012
Dialogo, comunione, perdono, le parole chiave del viaggio di Benedetto XVI. Un pellegrinaggio che dal Medio Oriente ha abbracciato il mondo intero. Dal Paese dei cedri, il Papa ha indicato alla comunità internazionale le condizioni necessarie per arrivare alla pace autentica. «I cristiani chiamati a vivere l’unità».
DOCUMENTI TUTTI I DISCORSI DEL VIAGGIO IN LIBANO
INTERVISTA Mouchir Aoun: «Non c'è libertà senza rispetto per l'uomo»
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​Ha parlato al mondo mediorientale, perché anche l’Occidente intenda. Si potrebbe riassumere così, con una parafrasi del noto proverbio, il senso del viaggio di Benedetto XVI a Beirut. Parole e gesti di questa visita, infatti, devono far riflettere non solo quanti, in quella regione, vorrebbero spingere sull’acceleratore dei conflitti fino a farli diventare un vero e proprio scontro di civiltà, ma anche la comunità internazionale che di fronte alla violenza di certe frange fondamentaliste stenta a prendere le esatte contromisure o addirittura finge di non capire. Il Papa, dal Libano, oltre a chiedere pace, rispetto e dialogo, ha indicato anche e soprattutto lo strumento più efficace per bonificare le paludi del fondamentalismo di matrice pseudoreligiosa: una sana laicità. E ha detto chiaramente che nella difficile impresa di garantire l’equilibrio complessivo della regione, il ruolo delle comunità cristiane sarà decisivo. La croce, dunque, non può essere espunta dal Medio Oriente, perché questo segnerebbe un impoverimento secco per tutti. Per l’Occidente come per gli islamici.In tal senso la prima parola chiave della visita è il passaggio dedicato alla «sana laicità», contenuto nell’Esortazione apostolica consegnata alle Chiese della regione e a tutti agli uomini di buona volontà, musulmani compresi. A detta di molti esperti di cose mediorientali, infatti, l’integralismo islamico ha buon gioco anche grazie al timore – radicato negli strati meno evoluti della popolazione araba – che realtà come democrazia e pluralismo siano solo sinonimi di secolarizzazione e ateismo. Di più: che queste realtà siano il prodotto naturale del cristianesimo. Anche per questo, dunque, la presenza delle antiche comunità cristiane viene percepito, in certi ambienti, come un elemento di pericolo da eliminare.Benedetto XVI ha completamente ribaltato la prospettiva. Secolarismo e ateismo, «non possono essere confusi con il cristianesimo», ha sottolineato. E, anzi, il laicismo è contrario alla fede cristiana. La «sana laicità», invece, garantendo il rispetto reciproco tra politica e religione, è l’unica via per evitare sia le strettoie della teocrazia cui sono ferme molte società islamiche (e verso cui potrebbero indirizzarsi anche diverse "primavere arabe") sia il libertinaggio dell’ideologia occidentale che confina la religione nel privato delle coscienze. E questo è appunto il messaggio per il nostro mondo secolarizzato. Se si vuole risolvere in maniera definitiva il problema della difficile convivenza con l’islam, ricorda in sostanza il Papa, occorre non recidere le radici della propria cultura, tra le quali una delle più importanti è appunto la radice cristiana.Domenica scorsa, nell’ultima e conclusiva giornata del suo viaggio Benedetto XVI, pur senza tornare esplicitamente sul concetto, ha fatto in un certo senso l’elenco di quei valori che gli danno corpo. A cominciare dalla riaffermazione della dignità umana e della libertà religiosa, fino a giungere alla richiesta di testimonianza e di servizio rivolta alle comunità cristiane della regione, passando per concetti come «perdono», riconciliazione» e «pluralità delle tradizioni religiose» da preservare in Libano come altrove, variamente presenti nei discorsi della giornata.In definitiva, dal Paese in cui più di tremila anni fa è stato inventato l’alfabeto, papa Ratzinger ha come riconsegnato alla comunità internazionale l’abc delle condizioni che favoriscono la pace. Esemplare, in questo senso, ciò che ha detto all’Angelus, di fronte alle 350mila persone che avevano partecipato alla Messa per la consegna dell’Esortazione Ecclesia in Medio Oriente. «Faccio appello alla comunità internazionale e ai Paesi arabi affinché, come fratelli, propongano soluzioni praticabili che rispettino la dignità di ogni persona umana, i suoi diritti e la sua religione! Chi vuole costruire la pace deve smettere di vedere nell’altro un male da eliminare». Occorre, invece, saper vivere insieme, professando ognuno il proprio credo. Come avviene nel «ricco e bel mosaico» del popolo libanese. Di qui il suo augurio, prima di ripartire per Roma: «Possa il Libano continuare ad essere uno spazio in cui gli uomini e le donne vivano in armonia e in pace gli con gli altri per offrire al mondo non solo la testimonianza dell’esistenza di Dio, ma ugualmente quella della comunione tra gli uomini, qualunque sia la loro sensibilità politica, comunitaria e religiosa».Si colloca su questo scenario il ruolo dei cristiani. L’esortazione loro rivolta durante la Messa – quella di essere «servitori della pace e della riconciliazione» – è anche un messaggio rassicurante rivolto all’islam più intollerante. Nessuno ha da temere nulla dalla presenza dei cristiani. Anzi essa è decisiva per lo sviluppo armonico della società, come hanno riconosciuto anche i capi musulmani, incontrando il Papa sabato mattina. Cristiani che però –, ed è questa l’ultima, ma non meno importante, parola chiave del viaggio – devono essere uniti. «In questi tempi instabili e inclini alla violenza – ha detto il Pontefice incontrando i patriarchi delle Chiese ortodosse e i rappresentanti di quelle riformate – è sempre più urgente che i discepoli di Cristo diano una testimonianza autentica della loro unità affinché il mondo creda nel suo messaggio d’amore, di pace e di riconciliazione».In fondo il successo del viaggio è racchiuso in queste parole chiave. Pronunciate da un Papa che si presenta con l’atteggiamento mite del «pellegrino di pace, amico di tutti», ma che all’occorrenza non ha paura di chiamare le cose con il loro nome. E di parlare anche a quelli che non vogliono sentire.
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