sabato 4 febbraio 2017
L'invito del vescovo a essere accanto agli ultimi. La risposta di associazioni e famiglie.
A Cremona le «adozioni di misericordia» per i detenuti poveri
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Il Giubileo non è finito. Nella diocesi di Cremona guidata dal vescovo Antonio Napolioni continua con le “adozioni di misericordia” nei confronti dei detenuti poveri reclusi nel carcere cittadino, promosse dalla Caritas diocesana. L’iniziativa, lanciata al termine dell’Anno Santo, registra già adesioni e altre ne stanno arrivando; l’impegno è quello di donare 20 euro al mese per le necessità essenziali di chi è indigente e vive dietro le sbarre: circa un centinaio di uomini (un quarto del totale), per lo più giovani, spesso stranieri e soli in Italia.

Vestiario e medicinali, ciabatte e scarpe, biancheria e prodotti per lavarsi, francobolli per spedire le lettere e qualche euro per pagare le telefonate internazionali alle famiglie rimaste all’estero. «Chi è che adotta? Donne nella maggioranza dei casi, più sensibili a queste problematiche. Un’insegnante, un’aderente all’Azione cattolica, altre persone fra i 40 e i 50 anni. A tutti verrà comunicato, tramite il nostro sito, un aggiornamento periodico sulla destinazione effettiva dei soldi: in pratica, una rendicontazione trasparente. Non si tratta di “adozioni” individuali, ma di un supporto a vari detenuti in difficoltà, con pene definitive e non», riferisce Marco Ruggeri, dal novembre 2013 diacono permanente. Sposato con Claudia, cinque figlie dagli 8 ai 18 anni, lavora da 13 anni nel penitenziario come educatore professionale ed è coordinatore del progetto. «Purtroppo riguardo ai detenuti notiamo ancora molte resistenze alla solidarietà – riflette –. In passato abbiamo registrato diversi fallimenti, sentendoci dire da chi voleva fare una donazione che preferiva bambini e anziani, ma i detenuti hanno sbagliato e non meritano aiuti. Noi operatori e volontari facciamo tanta fatica per far capire che un sistema penitenziario così concepito è soltanto punitivo, costoso, ma non funziona, non garantisce sicurezza né giustizia riparativa. Mentre i dati ci dicono che i detenuti hanno un bassissimo tasso di recidiva se vengono messi di fronte a esperienze alternative, come il lavoro interno e altre attività».

Per capire il dramma di tanti reclusi bisogna far cadere i pregiudizi e conoscere da vicino le loro situazioni: «In molti casi non hanno un grande profilo criminale, ma tante problematiche sociali, psichiatriche o di tossicodipendenza», racconta il diacono permanente, che sovrappone lavoro e ministero. Assicurando che non mancano relazioni conflittuali con i condannati. «Nei colloqui cerchiamo di avere un rapporto vero, autentico; non andiamo a dare una pacca sulla spalla, provare a smuovere qualcosa in loro. Ma è difficile farlo se d’inverno la persona che hai di fronte non ha neppure una giacca da indossare». Mentre spera che le “adozioni di misericordia” si moltiplichino, Marco coltiva un sogno: avviare la pet-therapy con gli asini fra le mura del penitenziario. «La relazione con un animale fa diminuire l’aggressività e il consumo di psicofarmaci. Sono certo che avremmo risultati straordinari avviando l’esperienza con un gruppo di detenuti».

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