mercoledì 13 marzo 2013
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Il cielo di Roma è in subbuglio, e tuona, e grandina, (benché di una grandine piccola come riso, che saltella sul porfido della piazza). Eppure dentro questa prima giornata di Conclave lievita sommessa tra la gente, sotto gli scrosci di marzo, una allegria. Un’attesa che ricorda l’eccitazione del Natale, da bambini: attesa di qualcosa di grande, e di buono.Misericordia, è la parola più pronunciata ieri mattina in San Pietro. Nei canti, prima: «Misericordias Domini in aeternum cantabo», recita il salmo. E ancora è la profezia di Isaia, che porta il lieto annuncio ai poveri, la libertà agli schiavi, la scarcerazione ai prigionieri. E insiste su questa parola, misericordia – il modo, materno, dell’amore di Dio – l’omelia. Sul luogo della tomba di Pietro la Chiesa ripete questa parola: insieme, come in un’unica preghiera. E vengono in mente le parole di Giovanni Paolo II in Polonia, undici anni fa («Siate testimoni di misericordia, gli uomini di tutto il mondo implorano la misericordia di Dio»). Come se un unico filo tenace legasse insieme i decenni e i secoli, ancora, in San Pietro.Sfila alla fine la processione dei cardinali. Cento uomini, e in molti avanti con gli anni. La gente li segue con gli occhi, cercando fra di loro il Papa. Ma è bello, in un mondo che bandisce la vecchiaia, questo corteo. La folla li guarda fiduciosa; lieta di avere dei padri. Ci sono in Basilica tantissimi sacerdoti e diaconi molto giovani, americani, sudamericani, asiatici. Quanti: che siano così tanti, meraviglia. (Sembra un albero la Chiesa in San Pietro stamattina, una quercia millenaria, con rami vecchi, ed altri che gemmano, di nuovo).Anche l’applauso, lunghissimo, a Benedetto XVI che colma la Basilica dice di un padre amato, lontano, eppure presente. «Misericordia» e «padre», sono le parole che marcano questa attesa del popolo cristiano. Così che c’è un fossato di incomunicabilità con le domande dai microfoni dei giornalisti, puntati sui fedeli; chiedono insistentemente di cose, che a questa gente sembrano non importare tanto. Come se, per quanto male possa esserci fra gli uomini, e anche qui, comunque si fosse dentro a una certezza più grande.Certezza che affascina, se perfino nella sala stampa di via Paolo VI, fra centinaia di giornalisti con il wifi che non va e i nervi tesi, decine di colleghi se ne restano zitti a guardare il giuramento dei cardinali, nella cappella Sistina. Cento uomini che ripetono cento volte la stessa formula: eppure molti smettono di scrivere sui pc. Sugli schermi mani bianche e mani nerissime su una sacra pagina, e il giuramento declinato con inflessione tedesche o spagnole o brasiliane, ma nella stessa lingua antica. Seducono, quelle vecchie mani posate sul Vangelo. Come la voglia segreta, qui dove tutto corre via in fretta, di qualcosa di fermo, di qualcosa di vero.E poi sotto gli scrosci di marzo è attesa della prima fumata. Qual è il comignolo, chiedono i più giovani. È quello magro, secco, lassù. E una nuova generazione guarda, e aspetta. Per una misericordia che, senza magari nemmeno saperlo, attende, dalla faccia di un uomo.
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