giovedì 2 febbraio 2012
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​È stata l’anima, a Padova, del "Progetto Miriam", fortemente voluto dal vescovo: celebrando in Cattedrale la Messa per la Giornata della vita consacrata, proprio il 2 febbraio di sedici anni fa il vescovo Antonio Mattiazzo «rivolse il suo accorato appello alle religiose perché si prendessero a cuore la sorte delle tante donne immigrate vittime della prostituzione. Noi, Francescane dei poveri, ci sentimmo interpellate». Lo racconta suor Mariapia Iammarino, spiegando che la sua congregazione internazionale e multiculturale, fondata nel 1845 dalla beata Francesca Schervier ad Aquisgrana, in Germania, è impegnata soprattutto nella pastorale, in campo sanitario e nei servizi sociali. In Italia e nel Senegal, in Brasile, nelle Filippine e negli Stati Uniti.Monsignor Mattiazzo «portava nel cuore una giovane donna africana che era riuscita ad arrivare alla Curia, aveva suonato il campanello e subito aveva detto, tutto d’un fiato: "Se il vescovo mi aiuta, smetterò di prostituirmi. Quello che faccio Dio non lo vuole, ma sono costretta a farlo" – ricorda la religiosa –. Alla fine il vescovo ci chiese di aiutare quelle donne cristiane che, proprio nella nostra Italia cristiana, rischiavano di perdere la fede».Rispondendo al carisma, le Francescane dei poveri decidono di accogliere l’invito del loro pastore; già impegnate in un apostolato di frontiera con nomadi, disabili mentali, stranieri, giovani, le quattro suore ci rinunciano per abbracciare "Progetto Miriam": «Un programma di vita alternativo per chi ha bisogno di lasciarsi alle spalle la strada». Un’iniziativa di educazione a 360 gradi che prende il via nel ’98 in una casa di accoglienza, "Porta San Giacomo": le religiose vivono «con ragazze che, per i primi mesi, hanno bisogno di maggiore protezione. Donne partite con una speranza e poi ridotte in schiavitù attraverso vincoli di vera e propria violenza fisica, soggezioni di tipo magico-rituale, subdoli ricatti affettivi e psicologici».Per liberarle e accompagnarle in un nuovo percorso di vita, spiega suor Mariapia, «occorrono una serie infinita di interventi che vanno dall’accoglienza all’accompagnamento psicologico e legale, dal sostegno per la formazione e l’inserimento lavorativo, agli accertamenti e alle cure mediche.In questi anni, assicura la religiosa, «abbiamo visto miracoli, accompagnando centinaia di ragazze. Il miracolo più grande, però, è stato un altro: costruire una Chiesa capace di comunione e solidarietà, prima con il patto tra noi e il vescovo, poi quello con i laici delle Acli. Coinvolti la Caritas diocesana, il Centro missionario, una congregazione di suore con la missione di formare le donne al lavoro, l’Usmi, alcune parrocchie, l’Opera di Maria che ha messo a disposizione una focolarina… Oggi un carisma isolato non basta più: occorre mettere insieme ministerialità e chiamate diverse».
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