domenica 22 gennaio 2017
Eliminati i cappellani a bordo. «Ricchezza da non disperdere»
I «preti di mare» lasciati a terra
COMMENTA E CONDIVIDI

Punto di riferimento in mezzo al mare per chi, per lavoro o per vacanza, è su una nave. Amici e 'fratelli', prima che sacerdoti, soprattutto per chi si trova per tanti mesi tra le onde, lontano da famiglia e affetti. Eppure i 'preti di mare' – i cappellani di bordo – non sono più presenti sulle navi Costa (le uniche che l’avevano) da maggio 2014. La motivazione ufficiale, decisa dopo l’ingresso nel gruppo Carnival, è l’adeguamento agli standard delle altre navi nel mondo. Una loro presenza sulle navi Costa, perciò, è ora limitata alle festività natalizie e pasquali, nonostante l’Ufficio nazionale dell’apostolato del mare della Cei abbia proposto di lavorare gratis. È questo mondo che pulsa d’umanità, il cuore della seconda giornata di Tante maglie per una sola rete, il convegno nazionale dell’Ufficio Cei, che si concluderà oggi a Roma. Una «tre giorni» che prende anche spunto dal volume della giornalista e collaboratrice di Avvenire, Stefania Ca- reddu Preti di mare, in cui si chiede di 'non buttare a mare' la ricchezza dei cappellani sulle navi e di riportarli al loro posto.

«Ci è stato risposto che non era un problema economico», l’ammissione del direttore dell’Ufficio Cei, don Natale Ioculano, sul perché non si possono avere cappellani sulle navi, nel «silenzio dei marittimi». Rivendicare un diritto in un contesto come la nave «non è facile», continua il sacerdote, ricordando che «purtroppo i marittimi non hanno quella voce che meriterebbero». Ora perciò di questa «eccezione italiana» è rimasta «solo una cappella vuota»; però accanto «ci sono le sale con le slot machine – sottolinea il direttore di AvvenireMarco Tarquinio, nel corso della presentazio- ne del volume alla presenza dell’autrice – perché dicono che c’è domanda. E la domanda di spiritualità?». All’inizio i turisti sulle navi si sono autorganizzati, senza poterlo pubblicizzare. I cattolici, aggiunge il direttore, «nel tempo della festa hanno reclamato il tempo di Dio», perché anche «il tempo della preghiera era tempo di festa in una vacanza».

Adesso Carnival «non ha nemmeno provato a fare retromarcia», giustificato dal fatto che in una logica di mercato i cappellani a bordo «non sono attuali». Ma nel mondo chiuso di una nave – ricorda alla fine Tarquinio – dove le persone «vivono in un tempo sospeso della quotidianità, c’è bisogno di un cappellano. A noi non interessa un pezzo di mercato, ma un modo di essere e di vivere». Nei porti italiani, dove transitano ogni anno oltre 5 milioni di marittimi, c’è grande bisogno di welfare, sia nella gestione della vita ordinaria, sia quando si verificano casi di “navi abbandonate” dagli armatori. I cappellani, ancor più in questi momenti, sono «presenza e vicinanza », e non averli più a bordo «è una grossa occasione perduta per fare del bene, per rendere umano l’essere umano ».

A ricordare il loro ruolo di «responsabili del welfare per turisti e marittimi» è Roberto Parmeggiani, caporedattore di Famiglia Cristiana, accanto al fatto che il cappellano «è il paradigma dell’impegno del cristiano oggi, il custode della dignità», e dell’unità della nave in cui convivono fedi e culture diverse. Se è vero che «le navi da crociera sono davvero uno spaccato della globalizzazione, di una società multietnica e multireligiosa », gli fa eco il vaticanista Pietro Schiavazzi nella tavola rotonda moderata da Lorena Bianchetti, una nave senza il servizio religioso «è una nave che nega il bisogno religioso e i diritti».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: