mercoledì 30 luglio 2014
​Don Falabretti, responsabile del Servizio nazionale della Cei per la pastorale giovanile: percorso di tutti i giorni verso Cracovia.
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Rio, Cracovia: tappe di un cammino che passa per la quotidianità, attraverso la storia e l’impegno nelle comunità locali. «Non è la pastorale giovanile che vive per la Gmg, ma è la Gmg che fa vivere la pastorale giovanile », chiarisce don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei, che in questi giorni, con una piccola delegazione, è in Polonia per incontrare il cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cracovia, il segretario generale e i membri del Comitato organizzatore locale (Col) della prossima Gmg. È passato un anno. Quale è stata la lezione di Rio? Rio è stata una Gmg di svolta. Premettiamo che si svolgeva al di là dell’Oceano, in una situazione di crisi economica: nei mesi precedenti sembrava esserci rassegnazione, scarso interesse. Si è rivelata invece una Gmg diversa, per due ragioni. Primo perché credo che, a memoria, non ci siano mai state esperienze di gemellaggio così forti. Si è vissuta l’esperienza missionaria non nell’ottica ottocentesca di noi che andiamo a far vedere cosa è la chiesa, ma abbiamo avuto la possibilità di vedere una chiesa diversa e viva. Questo ha colpito molto l’immaginario dei ragazzi. In secondo luogo quella di Rio era la prima Gmg di un Papa di cui si intravedeva qualcosa senza che se ne capisse ancora la portata. Francesco non è un uomo che cerca un legame con i giovani dal palco, ma lo cerca e lo costruisce mentre passa in mezzo a loro. Questo ha segnato una differenza. Quella di Rio è stata una Gmg impegnativa, sia per l’organizzazione che per i costi. Cosa ha significato per i ragazzi italiani? Un’altra grande novità di Rio sono state le Giornate regionali, un fatto importante. Fino a 8-10 mesi prima dell’evento, la Gmg sembrava riguardare solo chi andava, mentre invece le esperienze locali hanno svegliato la voglia di esserci, non solo Oltreoceano, ma di essere chiesa. Al rientro, ho sentito da parte di chi è andato in Brasile racconti che parlavano di una Chiesa meno compassata, più di pancia e meno razionale della nostra: è qualcosa che ci stordisce e ci fa capire che c’è qualcosa di diverso che abbiamo incontrato. Come è fermentata a casa l’esperienza brasiliana? Rio ha posto una domanda legata a cosa significa, per la Vecchia Europa, essere Chiesa nel mondo contemporaneo. Rio ha provato a provocarci, ricordandoci che mentre cerchiamo forme pastorali nuove, ciò che è da convertire è sempre il cuore. La questione è avere voglia di essere comunità più che trovare soluzioni pastorali. Quale è l’obiettivo di questo primo viaggio della delegazione Cei in terra polacca? Aprire un percorso verso Cracovia. Dire che la pastorale giovanile non debba vivere di grandi eventi non significa che non si debba lavorare per prepararli, ma fare in modo che essi siano parte della pastorale ordinaria. La delegazione Cei non va a Cracovia per organizzare i 15 giorni di luglio 2016, ma perché si possano aprire cammini da fare nelle diocesi riguardo ai temi della Gmg. Quali sono le prossime mete della pastorale giovanile italiana? Abbiamo progettato il prossimo Convegno di pastorale giovanile che si terrà in Puglia nel febbraio 2015: rappresenta la seconda parte di quello di Genova, è un pezzo del cammino iniziato ed è parte del percorso della pastorale giovanile, e dunque dell’attenzione che la Chiesa ha per le giovani generazioni, di questi anni. In tale cammino si collocano il Convegno ecclesiale di Firenze del 2015 sull’educazione e la Gmg di Cracovia del 2016.
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