domenica 20 ottobre 2019
Alle 10 la Messa del Papa nella Basilica di San Pietro. «Ogni battezzata e battezzato è una missione. Chi ama si mette in movimento»
Un missionario del Cmv in Amazzonia

Un missionario del Cmv in Amazzonia

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Si celebra oggi la Giornata mondiale missionaria che ha per titolo il tema dell’Ottobre missionario straordinario voluto da papa Francesco: “Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo”. Per l’occasione il Pontefice celebrerà la Messa nella Basilica di San Pietro questa mattina alle 10. Nel Messaggio per la Giornata, Francesco ricorda il centenario della Lettera apostolica di Benedetto XV Maximun illud dedicata alle missioni. E sottolinea che «ogni battezzata e battezzato è una missione. Chi ama si mette in movimento, è spinto fuori da sé stesso, è attratto e attrae, si dona all’altro e tesse relazioni che generano vita». Poi pone l’accento sulla «provvidenziale coincidenza» di celebrare il Mese missionario straordinario in concomitanza con il Sinodo sull’Amazzonia. E sprona: «Nessuno rimanga chiuso nel proprio io». In un dossier dell’agenzia Fides reso noto ieri si fa sapere che i missionari laici nel mondo sono 355mila e, nell’arco di un anno, sono aumentati di oltre mille unità. E stanno crescendo perfino nella vecchia Europa.

Non era mai accaduto: donne e uomini di vari popoli indigeni hanno condiviso con i padri sinodali l’Aula del Sinodo. Anche a uno sguardo distratto, appare evidente la specificità dell’Assemblea in corso: il suo cuore profondamente missionario. Il Sinodo sull’Amazzonia vuole mostrare l’adesione totale a Cristo accettando la centralità dei poveri e degli ultimi così come la presenta il Vangelo.

Riconoscerli come veri costruttori del Regno e ascoltare il loro grido insieme al pianto della terra è il centro della tanto auspicata “conversione missionaria”. Tutto il popolo di Dio, con questo evento, è dunque invitato a riflettere sulla sua missione alla luce del magistero dell’Evangelii gaudium e della Laudato si’, affinché una conversione missionaria e pastorale sia realizzata dalla Chiesa nel mondo intero e affinché ovunque venga favorita un’evangelizzazione incarnata nella cultura dei popoli. Quanto di positivo c’è in queste ultime arricchisce la maniera in cui il Vangelo è annunciato, compreso e vissuto, dato che una cultura sola non è capace di mostrare tutta la ricchezza di Cristo e del suo messaggio. Al contrario, «la Chiesa, assumendo i valori delle differenti culture, diventa sponsa ornata monilibus suis, “la sposa che si adorna con i suoi gioielli” (Is 61,10)» perché il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale dominante. Rimanendo ciò che è, nella fedeltà totale all’annuncio evangelico e alla tradizione della Chiesa, esso, al contrario, deve prendere i “volti” dei popoli che l’accolgono e fra i quali metterà radici. «La diversità culturale non minaccia l’unità della Chiesa (…) Non farebbe giustizia alla logica dell’incarnazione pensare a un cristianesimo monoculturale e monocorde» (Eg, 117).

Un pensiero sintetizzato proprio da papa Francesco nella prima Congregazione generale del Sinodo con l’invito ad avvicinarsi ai popoli amazzonici «in punta di piedi», «rispettando la storia, le culture, il loro stile di buon vivere, nel senso etimologico della parola non in quello sociale che spesso gli diamo». E ribadito dal Pontefice durante l’incontro “fuori programma” con una quarantina di rappresentanti indigeni giovedì: «I popoli ricevono l’annuncio di Gesù in base alla propria cultura». Questo Sinodo potrà, così, aiutare la Chiesa intera a calarsi in ogni realtà con uno spirito scevro da ogni ansia colonialista. Non solo nel contesto dell’Amazzonia. Nel rispetto – inteso nel senso etimologico di rendersi conto dell’altro –, nel valorizzazione della diversità e peculiarità di ciascun popolo, essa è chiamata ad assumersi la responsabilità, in una prospettiva di ecologia integrale, di prendersi cura dei poveri e della casa comune, perché tutto è insieme e interdipendente. Solo in questo modo, la Chiesa compie la sua missione universale.

In queste settimane di ascolto e riflessione, nel Sinodo, si è parlato di evitare lo spirito colonialista e ogni forma di proselitismo, di promuovere l’inculturazione, di garantire una formazione adeguata dei missionari e adeguati ministeri perché, negli immensi territori amazzonici dove ci sono pochi sacerdoti, è necessario sviluppare altre forme di ministerialità, secondo le necessità del momento. Favorendo la crescita di qualcosa già presente nella Chiesa di questi territori. E promuovendo nuovi percorsi. Come la collaborazione tra diverse congregazioni e le équipe itineranti. Il Sinodo vuole diventare, così, un faro e aprire nuovi cammini per tutta la Chiesa della regione, sia nelle città, sia nella foresta, sia per la popolazione urbana e dei migranti, sia per i popoli indigeni. Come realizzare in Amazzonia questa inculturazione non spetta a chi non vive in Amazzonia. La Chiesa della regione è chiamata a trovarla nel cammino, con e fra i popoli amazzonici. Come ha detto papa Francesco all’apertura, il 7 ottobre, «non siamo venuti qui a inventare programmi di sviluppo sociale o per la salvaguardia delle culture, tipo museo, o di azioni pastorali portate avanti con lo stesso stile non contemplativo con cui si realizzano azioni di segno contrario: deforestazione, omologogazione, sfruttamento» poiché anche chi li fa non rispetta «la poesia – mi permetto la parola – la realtà dei popoli che è sovrana». Siamo, invece – ha concluso – «venuti a contemplare, a comprendere, a servire i popoli e lo facciamo percorrendo un cammino sinodale».

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