mercoledì 10 settembre 2014
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«Noi europei, dopo aver intrapreso l’evangelizzazione dell’Africa, dell’America, dell’Asia, ora dobbiamo accogliere con gioia l’arrivo di evangelizzatori che vengono da quelle terre perché risorga la nostra fede» e si rafforzi quella «condivisione fraterna» che va aperta a tutti, a partire da «chi è più nel bisogno», scandisce il cardinale Angelo Scola dal pulpito della chiesa di Santa Teresa di Gesù Bambino, a Legnano, gremita nel pomeriggio feriale.Al fianco del pulpito sembra guardare l’assemblea, come rivolgendosi singolarmente a ciascuno dei presenti, il ritratto dallo sguardo intenso e sereno di un figlio dell’Africa: il servo di Dio fra Jean Thierry Ebogo, carmelitano scalzo, che da religioso prese il nome di Jean Thierry di Gesù Bambino e della Passione. Quello che ieri ha riempito la chiesa di Legnano è il rito di chiusura del processo diocesano super virtutibus per la beatificazione di Jean Thierry. E fra quanti affollano il santuario carmelitano, molti lo hanno conosciuto di persona, ammirato, amato. Jean Thierry, nato nel 1982 nel Camerun, è morto infatti a Legnano il 5 gennaio 2006. Era da pochi mesi in Italia, portato dall’Africa nella speranza di poter affrontare il tumore osseo scoperto nel 2004, appena ammesso al noviziato. Così non fu. La malattia non gli diede scampo. Ma quei mesi vissuti in Italia – come gli anni, brevi e luminosi, della sua vita in Africa – bastarono a lasciare una traccia indelebile in chi l’aveva conosciuto.«Chiediamo al Signore la grazia di portare sul nostro volto, come fece Jean Thierry, uno sguardo da risorti», dice l’arcivescovo di Milano alla fine della sua riflessione. È lo sguardo che tanti, in Africa, in Italia, hanno visto risplendere dal volto di Jean Thierry di Gesù Bambino e della Passione. Un nome che illumina il mistero della sua vita. Una chiamata al sacerdozio avvertita fin dall’infanzia; coltivata da ragazzo, vivendo una vita normale, in mezzo ai coetanei, con entusiasmo, con gioia contagiosa; affidata infine al carisma e alla fraternità dei carmelitani scalzi. La malattia, l’amputazione della gamba destra, l’abisso del dolore, fisico e morale, affrontato con la forza della fede. Forza contagiosa. Nei primi banchi della chiesa, il gruppo di preghiera «Amici di fra Jean Thierry». Sono stati amici italiani «ad aver intrapreso una iniziativa singolare – sottolinea un comunicato della Curia di Milano –: hanno creato una pagina facebook, primo caso per una persona incamminata agli onori degli altari».Il rito intreccia atto giuridico, preghiera, culto. Vengono letti anche alcuni passi di scritti di Jean Thierry. Che al sacerdozio non potè arrivare. «Realizzerò la mia vocazione lassù in Paradiso – dice prima di morire – e farò scendere un diluvio di vocazioni per il Carmelo e per la Chiesa». Ora la causa passerà a Roma. Al rito sono intervenuti il postulatore generale dei carmelitani scalzi, padre Romano Gambalunga; il vicepostulatore, padre Antonio Sangalli; padre Giorgio Peruzzotti, sua guida spirituale in Africa; padre Gabriele Mattavelli, già provinciale dell’ordine in Camerun; il promotore di giustizia della diocesi di Milano, don Virginio Pontiggia. E monsignor Ennio Apeciti, giudice delegato, responsabile diocesano per le Cause dei santi. «Abbiamo svolto 74 sessioni ufficiali, 54 in Africa e 20 in Italia – spiega Apeciti, al termine del rito –. Abbiamo raccolto le testimonianze di 84 persone. Fra loro, un musulmano. Che ha voluto testimoniare l’esempio di entusiasmo ricevuto da questo suo giovane amico cristiano. Un esempio prezioso per i nostri giovani».
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