sabato 9 aprile 2016
Il vescovo Brambilla: «Eucaristia ai divorziati? Non sarà un ticket»
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Il cuore della nuova Esortazione? «L’intreccio dei capitoli quarto e quinto, dove il Papa delinea il frutto del 'lavoro dell’amore'». La comunione ai divorziati risposati? Sarà il frutto di «un discernimento pastorale e personale, non un ticket da staccare». La dottrina tradizionale? «Non viene derogata in nessuna parte, ma c’è una forte attenzione alle persone ». Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara e vicepresidente della Cei per il Nord Italia, ha tutte le carte in regola per cogliere il senso più autentico dell’Amoris laetitia. Non solo perché teologo originale, ma per la sua partecipazione al Sinodo 2015, dove è stato relatore di uno dei circoli in lingua italiana. Perché ritiene che i capitoli quattro e cinque siano il «cuore» dell’Esortazione? Voglio proporre un’immagine: quando si apre la custodia che contiene l’anello di fidanzamento con un diamante, per prima cosa si ammira la pietra preziosissima. Il diamante dell’Amoris laetitia è il capitolo quarto incastonato nella corona del capitolo quinto. Papa Francesco, prendendo il canovaccio dell’inno alla carità di san Paolo ( 1 Cor 13), svolge una riflessione affascinante sul «lavoro dell’amore ». Prima umano che cristiano. O meglio più umano perché diventa cristiano. Con una sapienza pedagogica, in cui sento risuonare la finezza psicologica e umana delle analisi del cardinale Martini, il Papa scava nei sentimenti dell’amore e nell’amore come sentimento, perché sappiamo lavorarlo in profondità. Egli tiene insieme la bellezza e la saggezza del lavoro dell’amore, cercando di non idealizzare il rapporto con l’altro, perché solo accogliendone il limite, l’amore porta entrambi in un paese inesplorato. Proprio nel quarto capitolo il Papa dedica alcuni paragrafi all’eros coniugale. Come dobbiamo inquadrarli? L’agape lavora dal di dentro l’eros dell’uomo e lo porta verso vette sconfinate: la pazienza, la benevolenza, la guarigione dell’invidia, la lotta all’orgoglio, l’amabilità, il distacco generoso, il perdono, la gioia condivisa, l’empatia, la fiducia, la speranza nell’altro, l’affronto delle contrarietà, sono come la scala di Giacobbe che unisce la terra dell’eros con il cielo dell’agape (cristiana) (nn. 90120). Si può lavorare sull’amore e con l’amore, se si sente che «la più grande amicizia » (n. 122, san Tommaso d’Aquino) è preceduta e avvolta dall’agape misericordiosa di Dio: prima nella coppia, poi nella generazione, e, infine, nel contesto della vita familiare. Ma «il lavoro dell’amore» a quali esiti dovrebbe condurre? Mi sovviene una bella espressione di Rosmini, che legava strettamente l’aspetto unitivo e generativo dell’amore. Egli, quasi due secoli fa, non parlava di due fini, ma di un Bene unico della “società coniugale”: «È il bene dei coniugi: se veramente si desidera il bene del coniuge, lo si desidera tutto, lo si desidera il più esteso possibile, lo si desidera nella maniera più duratura possibile. È un profondo desiderio di totalità ed eternità di questo bene-amore. Facendolo diventare un amore generante vita». Il bene della coppia genera la vita, la vita generata è il bene della coppia. Questo è il frutto del “lavoro dell’amore”. Ecco perché l’intreccio dei due capitoli centrali è il cuore dell’Esortazione. Da lì si diparte l’anello d’oro della prima parte storico-teologica e della seconda pastorale-spirituale. All’inizio dell’Esortazione il Papa ricorda gli interventi dei padri sinodali come «prezioso poliedro». Lei che era presente, si ritrova in questa espressione? Il Sinodo è stata una vera esperienza di cattolicità, che ci ha dato l’immagine plastica di questo “poliedro”. Nel Sinodo il mondo con la famiglia è entrato nella Chiesa e la Chiesa ha tentato di dire il Vangelo dentro l’alfabeto della vita umana. A una prima lettura del testo papale è sorprendente il richiamo alla grande tradizione della Chiesa: alla misericordia come centro del Vangelo e stile della vita cristiana, a san Tommaso, al Concilio, Paolo VI, san Giovanni Paolo II, citato abbondantemente, fino a Benedetto XVI. Se dovessimo indicare tre punti per mettere in luce la novità del nuovo documento? Le novità mi sembrano: l’orizzonte del Giubileo della misericordia, con una presentazione positiva della dottrina, che non viene derogata in nessuna parte, ma con una forte attenzione alle persone; l’inclinazione pastorale del testo, che richiama la famosa regola di Evangelii gaudium, che il «tempo è superiore allo spazio» e avvia percorsi di rinnovamento; e anche un’autocritica ai linguaggi ecclesiali, preoccupati più dell’affermazione delle norme che del raccordo con la coscienza e la vita delle persone. Riammissione ai sacramenti per i divorziati risposati. Quali indicazioni nell’Amoris laetitia? Questo tema è stato usato come la cartina di tornasole del Sinodo. L’intervento del Papa ci spiazza. Il capitolo ottavo è totalmente dedicato a questo argomento con la guida di tre verbi: accompagnare, discernere e integrare. Anche la complessità di questa parte ci fa intuire l’ascolto della sofferenza delle persone coinvolte, perché non esistono «semplici ricette» (Benedetto XVI citato al n. 299). Il percorso avviato è indicato al n. 300: non una normativa canonica generale, ma un accompagnamento in foro interno, un discernimento pastorale e personale, e un’integrazione graduale e responsabile. La comunione eucaristica non può essere un premio, un diritto o un ticket da staccare. Inizia un percorso e un’avventura di una Chiesa accogliente, che cammina a fianco della sofferenza delle persone, senza tradire in alcun modo la bellezza dell’amore e della famiglia.  Tanto impegno per la famiglia ma intanto i matrimoni continuano a calare. Dove abbiamo sbagliato? Non si è visto a sufficienza che eravamo davanti «non a un’epoca di cambiamenti, ma a un cambiamento d’epoca ». Il passaggio dalla famiglia “patriarcale” alla famiglia “nucleare”, con una coppia che vive in appartamento; la difficoltà crescente a collegare emozioni e affetti con la scelta di vita e la nascita conseguente del fenomeno della convivenza per provare. Sono due fenomeni che hanno posto la famiglia in uno splendido isolamento. Questa è una sfida non solo per la Chiesa, ma anche per la società. A meno di pensare a una società atomizzata, di individui soli, che è la morte di ogni legame sociale! Soprattutto la Chiesa dovrà mostrarlo con una pastorale più empatica, una parrocchia che è “famiglia di famiglie”, una comunità che non teme di spendere la sua moneta più preziosa per il futuro della coppia e delle nuove generazioni. Perché esse sono il nostro vero “capitale” del futuro.
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