venerdì 8 febbraio 2013
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​Per capire il Lazio, assicura Eraldo Affinati, bisogna alzarsi presto. Scrittore e insegnante, l’autore della Città dei ragazzi consiglia di trovarsi di buon mattino su una delle vie consolari e osservare il flusso di auto che si dirigono a Roma dal resto della regione. «Uno spettacolo impressionante – spiega –, quelle strade sono le arterie che portano sangue fresco nel cuore della capitale. Molti sono gli extracomunitari, che magari si stabiliscono in provincia invogliati dal minor costo della vita. Il sangue vivo della regione, insomma, sta in gran parte fuori Roma».E questo è un bene o un male?Un dato di fatto, direi. Conosco diversi di quei giovani, che spesso si trasferiscono fuori città dopo essere passati per una casa-famiglia. Ogni giorno si sobbarcano ore di auto o di pullman per lavorare a Roma, ma quella che a noi sembra una faticaccia è poca cosa per loro, che per arrivare fin qui hanno affrontato viaggi ben più duri.Il Lazio non è soltanto terra di immigrazione, però.No, è chiaro. Ho insegnato per diversi anni a Guidonia e ancora adesso sono spesso invitato in tante scuole della regione per parlare dei miei libri. A colpirmi, ogni volta, è il contrasto che avverto nei ragazzi. Si capisce, a colpo d’occhio, che subiscono in modo quasi magnetico il fascino della metropoli. Nello stesso tempo, però, sono radicati in un sistema di valori più tradizionale. In linea di massima, direi che è più facile incontrare scolaresche disciplinate in provincia di quanto accada a Roma, specie nelle borgate. Ma generalizzare, anche in questo caso, è pressoché impossibile.Come mai?Non diversamente da altre realtà non metropolitane, la grande provincia laziale è più radicata alla tradizione, questo è innegabile. La fiducia nella famiglia va di pari passo con l’orgoglio per le piccole identità locali, che rivestono un ruolo importante come forma di riconoscimento personale. Ma sarebbe un guaio se tutto questo si traducesse in nostalgia per il passato. La modernità, oggi, avanza per via trasversale e una provincia chiusa nel rimpianto non tarderebbe a trovarsi esposta a ferite e contraddizioni. L’obiettivo, ancora una volta, è di restare consapevoli del passato senza smettere di progettare il futuro.Impresa non facile, non trova?Ma possibile, mi creda. Sa in quale occasione me ne sono accorto? Quando ho avuto modo di visitare la casetta che Andrej Tarkovskij si era costruito nel parco di San Gregorio da Sassola, vicino a Tivoli. Siamo nel cuore del Lazio, eppure proprio tra questi alberi secolari il grande regista aveva ritrovato il paesaggio della sua Russia. Ecco, bisognerebbe imparare da Tarkovskkij per liberare il Lazio dalla sua immagine convenzionale e riconoscerlo per quello che è.Vale a dire?La cellula germinale dell’Europa, né più né meno. Lo affermo anche in riferimento all’identità religiosa della regione, che affonda le radici nell’esperienza straordinaria dei monasteri medievali. Subiaco, Casamari, Monte Cassino: sono luoghi decisivi nella storia dell’intero continente. Da qui bisognerebbe ripartire, a mio avviso.E gli immigrati in coda sulla Tiburtina?Tra loro, anni fa, c’era lo stesso Tarkovskij. Quando scendeva a Roma, prendeva il bus come un pendolare qualunque. Anche questa è una bella lezione.
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