sabato 22 settembre 2018
La formalizzazione dell'intesa rientra in un progetto di riorganizzazione interna nel segno di una maggiore stabilità interna, strettamente legata a una forte proiezione internazionale
Ecco perché Pechino ha firmato malgrado la stretta sulle religioni
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La notizia della “pace” tra Repubblica popolare cinese e la Santa Sede sulla nomina dei vescovi arriva proprio mentre molti rilevano una stretta sulle religioni in Cina. Giungono infatti molte notizie sull’applicazione di nuovi regolamenti che impongono ai luoghi religiosi e alle comunità che li frequentano una serie di rigorose disposizioni. Sembra - almeno all'apparenza - una vistosa contraddizione. In Cina, da almeno due anni, la nuova parola d’ordine della politica religiosa è “sinizzazione”. Dalla Conferenza nazionale sul lavoro religioso dell’aprile 2016, Xi Jinping sta dettando questa linea, con una forte richiesta alle religioni di adattarsi alla situazione politica guidata dal Partito comunista, di rispettare le leggi, di inserirsi nella società socialista, di partecipare alla realizzazione del “sogno cinese”. Circa un mese fa, inoltre, è entrato in vigore un nuovo regolamento interno al Partito comunista cinese che irrigidisce notevolmente il divieto per i suoi membri di professare una fede religiosa, abbandonando una precedente tolleranza. Come in altri campi, insomma, anche in questo, la Cina di Xi Jinping sta sviluppando una sistematica opera di riorganizzazione interna. Molti credenti ne fanno esperienza anzitutto attraverso i nuovi divieti e le nuove proibizioni che li colpiscono direttamente. Ma se ci si limita ai singoli effetti “in periferia" non si comprende il disegno perseguito “al centro”.
E se nell'immediato riorganizzare e disciplinare significa anzitutto proibire, nel lungo periodo potrebbe voler dire anche contrastare arbitrii e corruzione.

Parallelamente a questo rafforzamento della leadership comunista su tutto il paese, il governo di Pechino firma oggi un accordo con la Santa Sede che, secondo alcuni, implicherebbe addirittura una limitazione della sua sovranità. Ma dove un occidentale vedrebbe una contraddizione, i cinesi vedono invece complementarietà. Il pensiero orientale, rifuggendo dall'astrattezza dei principi, persegue quello che noi chiamiamo pragmatismo ma che in realtà è qualcosa di più profondo. La dirigenza politica cinese, infatti, non considera questa firma in contrasto con la “sinizzazione politica” delle religioni perché, in entrambi i casi, l’obiettivo è anzitutto quello della stabilità sociale, in Cina valore irrinunciabile. Si vuole evitare che siano nominati nuovi vescovi clandestini, con tutte le conseguenze del caso: divisioni interne alla società cinese e potenziali opposizioni al regime da parte dei “clandestini”. Con l’accordo, si supereranno anche le tensioni legate alle ordinazioni di vescovi illegittimi, cioè quelli riconosciuti solo da Pechino, perché anche queste creano dissenso nelle comunità cattoliche. Mentre affrontano, inoltre, il crescente problema della presenza in Cina di nuove Chiese cristiane e di nuove religioni, più sfuggenti al controllo governativo, le autorità considerano particolarmente opportuna la “pacificazione” delle comunità cattoliche sparse in tutto il Paese.

La ricerca di maggiore stabilità interna è strettamente legata ad una più forte proiezione internazionale. Sono questi i due pilastri principali del «pensiero di Xi Jinping del socialismo con caratteristiche cinesi nella nuova era», presentato nel 2017 al XIX Congresso del PCC. Il presidente cinese parla infatti di una nuova fase nella storia della Repubblica popolare cinese, dopo quella iniziale di Mao Zedong e quella delle riforme economiche di Deng Xiaoping. E ha stupito il mondo presentandosi a Davos come il campione della globalizzazione, mentre tanti Paesi occidentali stanno scivolando nel protezionismo e nell'autoreferenzialità. Anche l’apertura verso la Santa Sede – un soggetto internazionale per tanti aspetti lontanissimo all'universo dei leader comunisti cinesi – conferma il perseguimento di una politica estera di grande respiro. Papa Francesco ha avuto la capacità di capirlo, esortando un anno fa l’Occidente ad abbandonare una mentalità da guerra fredda e accogliere il desiderio cinese di assumersi maggiori responsabilità internazionali. Non è stato ascoltato e nei paesi occidentali continua a prevalere la rappresentazione di una Cina ambigua e concentrata solo sui propri interessi: così ad esempio viene spesso interpretato il gigantesco progetto di integrazione economica “Belt and Road Initiative” (o “Nuova via della seta”).

L’apertura di papa Francesco, però, ha accresciuto la curiosità dei dirigenti di questo grande paese con un miliardo e trecento milioni di abitanti per questa grande comunità religiosa con un miliardo e duecento milioni di fedeli. E ora l’accordo tra Santa Sede e Repubblica popolare cinese si inserisce in un vuoto lasciato da altri.

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