giovedì 9 febbraio 2017
La prospettiva tuttavia è cambiata dopo il Concilio Vaticano II, spiega don Angelo Lameri, ordinario di Liturgia alla Pontificia Università Lateranense, che invita a parlare piuttosto di «ministranti»
Angelo Lameri

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Chierichetto, ossia “piccolo chierico”. Il nome tradisce l’origine di questa figura: il giovane, il ragazzo che serviva all’altare e che era un riflesso dell’immagine sacerdotale, spesso un seminarista o, quando i Seminari non c’erano ancora, un “apprendista” del ministero sacerdotale. La prospettiva tuttavia è cambiata dopo il Concilio Vaticano II, spiega don Angelo Lameri, ordinario di Liturgia alla Pontificia Università Lateranense, che invita a parlare piuttosto di «ministranti». «La partecipazione di tutta l’assemblea radunata per la celebrazione eucaristica – dice don Lameri – si declina in una ministerialità, in alcuni compiti che sono al servizio di tutta la comunità. Ci sono i ministeri ordinati del presbitero e del diacono, con i loro compiti propri, e c’è una ministerialità che possiamo chiamare diffusa. Il servizio all’altare dei ministranti va inserito in questo discorso».

Non si tratta di una cosa da “bambini” specifica il liturgista, di fatto è un servizio che può fare benissimo anche un adulto, cosa forse più diffusa nel Nord Europa che da noi. Resta comunque un modo importante per avvicinare i ragazzi al mistero della liturgia, dei sacramenti, del sacrificio dell’altare. Inoltre «il maggiore protagonismo dei più piccoli può aiutare a riconoscere che l’Eucaristia è un dono che la Chiesa riceve ed è davvero per tutti». Detto questo, non sempre il ruolo dei chierichetti è valorizzato o curato come dovrebbe essere. «La situazione sul territorio è molto variegata – commenta sempre don Lameri – ci sono parrocchie in cui il servizio dei ministranti è molto curato, anche a livello di formazione, di catechesi. In genere questo avviene quando si ha cura un po’ di tutta la celebrazione: dove il servizio dei ministranti è ben curato, è curato anche il canto, il servizio dei Lettori eccetera. Poi ci sono situazioni più improvvisate, dove si dice: “se ci sono dei ministranti bene, se non ci sono risolverò in altro modo, ho altro a cui pensare...”. Questo atteggiamento, tenendo conto che la celebrazione liturgica è lo specchio di una comunità, può celare una mente un po’ “clericale” del sacerdote, del tipo “sono sufficiente io, basto io”».

Il ruolo del ministrante non è strettamente normato e spesso, tra le tante situazioni, capita anche di vedere vere e proprie folle di bambini in cotta attorno all’altare... «Non c’è un numero prestabilito di chierichetti da usare per la Messa – commenta il liturgista della Lateranense – nulla toglie che in determinate occasioni ce ne possano essere anche moltissimi: una particolare solennità, una festa della parrocchia. Secondo me è importante non dimenticare un principio, anche di buon senso: fare il ministrante non è l’unico modo per coinvolgere i bambini nella Messa. Se ne ho tanti li posso valorizzare altrimenti: alcuni faranno i chierichetti, altri canteranno nel coro, altri porteranno le offerte, qualcuno leggera le preghiere dei fedeli... e così tutti possono essere coinvolti senza per forza essere nel presbiterio».

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