venerdì 29 novembre 2013
Il Pontefice ha sottolineato che per dialogare non bisogna nascondere la propria identità: a volte si pretende che i cristiani rinuncino alle loro convinzioni religiose e morali nell'esercizio della professione. IL TESTO
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«Dialogo interreligioso ed evangelizzazione non si escludono, ma si alimentano reciprocamente». Lo ha spiegato Papa Francesco ricevendo ieri in udienza i membri del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso riuniti in questi giorni a Roma per la sessione plenaria del dicastero.«Dialogare – ha detto il Pontefice – non significa rinunciare alla propria identità quando si va incontro all’altro, e nemmeno cedere a compromessi sulla fede e sulla morale cristiana». Al contrario, ha proseguito citando l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, «la vera apertura implica il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa». Una identità quindi «aperta a comprendere le ragioni dell’altro, capace di relazioni umane rispettose, convinta che l’incontro con chi è diverso da noi può essere occasione di crescita nella fratellanza, di arricchimento e di testimonianza». «Non imponiamo nulla, – ha aggiunto il Papa – non usiamo nessuna strategia subdola per attirare fedeli, bensì testimoniamo con gioia, con semplicità ciò in cui crediamo e quello che siamo». In effetti, ha spiegato, «un incontro in cui ciascuno mettesse da parte ciò in cui crede, fingesse di rinunciare a ciò che gli è più caro, non sarebbe certamente una relazione autentica. In tale caso si potrebbe parlare di una fraternità finta». E «come discepoli di Gesù dobbiamo sforzarci di vincere la paura, pronti sempre a fare il primo passo, senza lasciarci scoraggiare di fronte a difficoltà e incomprensioni».In questo quadro «il dialogo costruttivo tra le persone di diverse tradizioni religiose serve anche a superare un’altra paura, che riscontriamo purtroppo in aumento nelle società più fortemente secolarizzate», e cioè «la paura verso le diverse tradizioni religiose e verso la dimensione religiosa in quanto tale». Facendo riferimento al discorso di Benedetto XVI al Corpo diplomatico nel gennaio 2011, Papa Francesco ha constatato che «la religione è vista come qualcosa di inutile o addirittura di pericoloso; a volte si pretende che i cristiani rinuncino alle proprie convinzioni religiose e morali nell’esercizio della professione». Insomma «è diffuso il pensiero secondo cui la convivenza sarebbe possibile solo nascondendo la propria appartenenza religiosa, incontrandoci in una sorta di spazio neutro, privo di riferimenti alla trascendenza». Ma, si è chiesto il Papa, «come sarebbe possibile creare vere relazioni, costruire una società che sia autentica casa comune, imponendo di mettere da parte ciò che ciascuno ritiene essere parte intima del proprio essere?». «Non è possibile pensare a una fratellanza "da laboratorio"», ha spiegato. «Certo, – ha aggiunto – è necessario che tutto avvenga nel rispetto delle convinzioni altrui, anche di chi non crede, ma dobbiamo avere il coraggio e la pazienza di venirci incontro l’un l’altro per quello che siamo». Così «il futuro sta nella convivenza rispettosa delle diversità, non nell’omologazione ad un pensiero unico teoricamente neutrale». Infatti «abbiamo visto a lungo la storia, la tragedia dei pensieri unici». Ecco perché diventa «imprescindibile il riconoscimento del diritto fondamentale alla libertà religiosa, in tutte le sue dimensioni». E «su questo il Magistero della Chiesa si è espresso negli ultimi decenni con grande impegno». «Siamo convinti – ha precisato il Papa – che per questa via passa l’edificazione della pace del mondo».Il tema dell’XI Assemblea Plenaria del Consiglio per il dialogo inter-religioso, culminata ieri con l’udienza papale, ha sviluppato il tema "Membri di differenti tradizioni religiose nella società civile". Il presidente del dicastero, il cardinale Jean-Louis Tauran, nel suo saluto citato dall’Osservatore Romano ha denunciato quanto avviene in quei Paesi in cui «viene negato ai credenti il diritto di esercitare pubblicamente la propria religione» e ha sottolineato come in certi ambiti il pluralismo non vada oltre «una mera affermazione di principio». Tuttavia, ha aggiunto, si può constatare «che laddove è praticata la via del dialogo unica, ragionevole ed auspicabile, si riesce a trovare un terreno comune e condiviso che, grazie al contributo degli aderenti delle diverse tradizioni religiose, costituisce un efficace antidoto a quei semi di pregiudizio, di rifiuto dell’altro e di violenza che spesso avvelenano la società civile».
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