mercoledì 11 giugno 2014
Il Custode di Terra Santa: non bastano gli accordi politici, serve un consenso popolare che non può prescindere dalla preghiera.
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«È vero, si dirà, il Medio Oriente non cambierà, però è stato un momento importante che fa capire come nonostante tutte le difficoltà se si vuole - basta volerlo - si possono fare passi in avanti». Lo afferma padre Pierbattista Pizzaballa, francescano, Custode di Terra Santa, commentando l’incontro di preghiera di domenica in Vaticano con papa Francesco, il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, il presidente israeliano Shimon Peres e quello palestinese Abu Mazen. Avvenire lo ha raggiunto telefonicamente a Gerusalemme dove è appena rientrato.Padre Pizzaballa che reazioni ha potuto registrare al ritorno in Terra Santa? Qui l’eco è stata più soft. Le popolazioni qui sono entrambe un po’ scettiche quando si parla di pace tra israeliani e palestinesi. Diciamo che non è un argomento molto sentito. Non perché non si voglia la pace, ma perché dopo tanti fallimenti c’è un naturale scetticismo. Detto questo l’attenzione per l’evento è stata alta, anche se è scemata quasi subito. Qui in Italia ha avuto una certa eco un commento del giornale Haaretz particolarmente scettico... Si tratta di un giornale molto laico e quindi tutto ciò che riguarda fede e religione non è un ambito che comprende molto. Poi bisogna anche vedere gli obiettivi che uno si dà. Nessuno, l’abbiamo detto fin dal principio, ha avuto mai la presunzione di credere che l’evento di domenica cambierà il corso della storia politica del Medio Oriente. Ma è un modo per far capire a tutti - e col tempo speriamo che diventi sempre più coscienza pubblica - che la pace non si fa soltanto con accordi politici ma con un consenso popolare che non può prescindere, per un credente, dalla preghiera e dal coinvolgimento dei leader e anche delle comunità religiose. Lei come ha vissuto personalmente l’evento? È stato molto bello. I problemi erano sempre tanti dal punto di vista organizzativo, non era mai tutto a posto, ma questo si sapeva. Credo però che in quel momento si è sentito un soffio di grazia un po’ in tutti. Il gesto in sé di trovare insieme i capi dei due polmoni della Chiesa, occidentale e orientale, e i rappresentanti dei due popoli che da anni non si parlano e non si amano, è stato molto importante. La presenza del patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme Teofilo III era attesa o è stata una sorpresa? Era stata in forse per motivi tecnici, ma era voluta e poi è stata confermata. È il capo della comunità cristiana di Gerusalemme più grande, ed era impensabile che non fosse presente. Qualcuno si è lamentato che i testi delle preghiere effettivamente recitate non corrispondevano a quelli anticipati... In alcuni casi sì. Gli islamici avevano mandato delle correzioni ma fuori tempo massimo. Sono stato cambiamenti sostanziali? In particolare hanno aggiunto un quarto intervento, quello cantato, che non era previsto. Ma non c’era nulla di polemico. È stato poi fatto notare che i due presidenti invitati. in passato. non avevano brillato in modo particolare per una loro religiosità... Abbiamo parlato anche di questo. È vero. Non sono religiosi ma sono credenti. Nessuno ha bisogno dell’imprimatur o del copyright per poter pregare. I religiosi non ce l’hanno. Il fatto comunque che i due presidenti si siano impegnati in maniera pubblica per farlo credo sia un gesto significativo e importante. Per quello che lei ha potuto capire, il fatto che il governo israeliano abbia dato il via libera formale alla venuta a Roma del presidente può avere un significato o è stato un gesto di pura cortesia? Credo che non sarebbe stato comprensibile agli occhi del mondo un gesto diverso.
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