martedì 17 maggio 2016
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Parole sante. Parole su misura per un clero italiano spesso travolto dagli impegni, dall’agenda fittissima. «Siamo dei factotum» commenta don Nico Dal Molin, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni, che ha ascoltato il discorso di Francesco dal vivo, sia pure in un angolino. E se i “factotum” riuscissero ad recuperare l’essenziale? Cominciando a togliere, anziché aggiungere e aggiungere? «Quando Francesco ci ricorda che non “abbiamo” una missione ma “siamo” dei missionari, ecco, sta parlando proprio ai preti italiani». Preti che sono sempre di meno. «L’emorragia di fine secolo scorso si è arrestata ». I preti in Italia, compresi i non nativi, sono circa 33mila; e se sono calati loro, sono diminuiti pure i fedeli. «Il problema – fa notare Dal Molin – è semmai un altro, l’età media del clero. Sempre più alta, specialmente al centro-nord. I problemi davvero seri li avremo nei prossimi anni proprio per l’invecchiamento del clero». La soluzione? Nessuna formula ma semplice buon senso, dando retta al Papa: «Faranno bene i preti ad andare all’essenziale, puntando su quei laici formati ai quali affidare sempre maggiori responsabilità ». E i preti di domani? Il percorso formativo prevede due anni di filosofia, tre di teologia e un ultimo anno pastorale: sei in tutto. Oggi in Italia gli studenti del biennio sono 1.365 e quelli del triennio (più sesto anno pastorale) 1.426. Ma di chi si tratta? «Sono due tipi di giovani – spiega Dal Molin –. Ci sono quelli legati a forti esperienze aggregative, nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti». Molti sono cresciuti nell’Azione cattolica e sono inseriti nei seminari diocesani. Tra le aggregazioni c’è chi ha i propri seminari, come il Cammino neocatecumenale o l’Opus Dei. Anche l’ordinariato militare ha il suo seminario a Roma. «Il secondo gruppo è costituito da giovani adulti, o veri e propri adulti, che hanno già una professione e prendono la loro decisione dopo una forte esperienza spirituale, ma spesso senza una solida e lunga esperienza comunitaria». Una tendenza ormai consolidata. Problemi? «Qualcuno sì, e in entrambi i casi. Chi cresce in parrocchie e aggregazioni ha comunque bisogno di verificare la vocazione e compiere un cammino sistematico e solido, meno precario; richiede poi sempre di approfondire la conoscenza di sé». Giovani adulti e adulti, al contrario, dovrebbero conoscersi meglio... «Proprio perché possono non avere una forte esperienza comunitaria, vanno valutati con grande attenzione». Per tutti, il grande cambiamento rispetto al passato è l’atteggiamento della famiglia: «Quando c’è... – annota amaramente Dal Molin –. Tanti studenti di teologia sono stati non incoraggiati, ma frenati da genitori e parenti. Alcuni hanno tante ferite da risanare». Quindi l’invito del Papa ai vescovi a «metterci in ascolto» dei preti attuali vale anche nei confronti degli aspiranti preti: «Meglio imparare subito l’arte dell’essenzialità. Francesco ricorda Mosè, “che si è avvicinato al fuoco e ha lasciato che le fiamme bruciassero le sue ambizioni di carriera e potere”». Gli anticorpi è meglio farseli subito, negli anni di teologia. Per diventare preti “scalzi”. © RIPRODUZIONE RISERVATA Intervista
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