martedì 7 luglio 2009
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Eminenza, una prima caratteristica dell’enciclica «Caritas in veritate» è quella di rivolgersi a tutta la famiglia umana e non solo ai cristiani.L’intenzione del Papa – risponde il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio «Giustizia e pace», in un’intervista a Radio Vaticana –  è proprio quella di rivolgersi a tutte le persone, a tutti gli uomini di buona volontà e anche a tutte le religioni e ai loro rappresentanti, perché la religione deve essere ormai parte della vita pubblica e deve trovare un posto nella sfera pubblica, perché ha la sua parola da dire. E ciò è importante nel momento in cui il relativismo e il laicismo vogliono escludere ogni espressione religiosa dalla vita pubblica.Perché le religioni possono contribuire allo sviluppo della famiglia umana?Dobbiamo sempre tener presente che l’uomo è composto di due elementi, l’anima e il corpo. Se si vuole escludere una parte lo sviluppo non è completo. Paolo VI ha più volte richiamato lo sviluppo integrale dell’uomo. Le religioni aiutano a esprimere e rendere attive le questioni dell’anima. Si tratta di un dato importante. Il Papa nella sua enciclica dice che molte volte si arriva a considerare tutte le esigenze spirituali come dominio della psicologia. È il caso di chi si sente frustrato e va dallo psicologo o dallo psichiatra invece di cercare in sé la soluzione dei problemi, naturalmente con un riferimento trascendente. Proprio questa crisi di identità spirituale porta poi ai fenomeni della droga, così come alle scelte di rifiuto della vita, l’eutanasia, l’aborto.L’enciclica invita l’uomo a ripensare se stesso nel rapporto costante tra fede e ragione.Assolutamente. E questo è proprio importante. La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede. E questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi onnipotente. Allo stesso momento, la religione ha bisogno di essere purificata dalla ragione per mostrare il suo autentico volto umano e per rimanere a contatto con le realtà terrene.Il superamento della crisi economica è l’occasione per far ripartire la società civile?La crisi è stata originata dalla ricerca unica e sola di profitto. L’enciclica afferma che l’economia, il mercato, non è solo maggior profitto ma che è qualcosa di più. È un’espressione umana e quindi deve sottostare alle regole della legge naturale, dell’etica, della morale. Quando queste regole non si osservano succede quello che abbiamo visto nei mesi passati. Il mercato non è pero il male...La dottrina sociale della Chiesa da sempre riconosce la legittimità del profitto, del mercato, altrimenti non ci sarebbe incentivo a mettere sul mercato nessuna cosa. Però il mercato non deve essere lasciato in balia di se stesso per il maggiore profitto, ma controllato innanzitutto dallo Stato. Tuttavia ci sono molte altre maniere di esercitare un controllo, ad esempio attraverso le associazioni dei consumatori, importanti in quest’ottica. Inoltre, il mercato deve anche interessare chi produce, quindi i lavoratori che, anche, hanno la loro parte di interesse. Quindi il profitto non deve andare sempre unicamente all’imprenditore, all’impresa, ma deve tener conto di tutti quelli che partecipano alla produzione di un bene.Per questo l’enciclica chiede anche una riflessione sul modo di fare sindacato?Sì. Ha ripetuto e ripete l’incoraggiamento che la Chiesa, con la dottrina sociale, ha sempre dato ai sindacati. Naturalmente, in questa era di globalizzazione i sindacati devono fare uno sforzo di modernizzazione, perché il mercato del lavoro si estende a tutto il mondo. Devono fare lo sforzo di mettersi alla pari della globalizzazione. È importante ma troveranno, per questo, sempre l’appoggio della Chiesa e della dottrina sociale.Si chiedono però riforme e meno burocrazie anche agli organismi internazionali, soprattutto per vincere le povertà.C’è una critica molto severa, perché talvolta l’aiuto allo sviluppo è un aiuto agli sviluppatori. Cioè, di un qualsiasi programma, non solo dell’Onu ma anche di tante altre organizzazioni, gli addetti alla sua realizzazione percepiscono lauti stipendi. E spesso i riceventi nei Paesi in via di sviluppo sono quasi una scusa per mantenere in piedi un programma che aiuta, piuttosto, le tasche dei promotori. Tengo però soprattutto a dire che l’enciclica ha parole di apprezzamento per le Nazioni Unite e per le sue agenzie, sottolineando – e questa è la richiesta di anni, dal tempo in cui io rappresentavo la Santa Sede all’Onu – la necessità di una riforma.Cardinale Martino, anche il rispetto della vita è alla base dello sviluppo umano ?Certo. L’enciclica richiama i due documenti, l’Evangelium vitae e l’Humanae vitae. In più di un passaggio, si fa riferimento al rispetto della vita perché è la condizione necessaria per poter godere di tutti gli altri diritti, così pure come l’altro riferimento è quello alla libertà di religione. Ora questo è importante, e c’è pure una condanna chiara all’aborto, all’eutanasia, alle modificazioni embrionali. L’enciclica ci dà un quadro generale su tutte queste cose, delle direttive, dei consigli su tutto quanto è dibattuto oggi in questo mondo globalizzato.La Caritas in veritate si colloca più vicino al mondo liberale o socialista ?È la dottrina sociale della Chiesa. E quindi non è né marxista, né ultraliberale. Perché il fatto di accettare che ci sia nella produzione e nel mercato un profitto è qualcosa di naturale. La persona umana non farebbe un’attività se non ne traesse un profitto. Ma abbiamo detto che il mercato va controllato. Il mercato non dev’essere profitto e guadagno a tutti i costi ma deve tener presente tutte quelle misure che lo possono rendere uno strumento per tutti.
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