mercoledì 12 giugno 2013
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Un tema obbligato. Anzi, "il" tema. Quello che «nessuno può evitare, perché incrocia la strada anche di chi sta andando altrove». Perché, alla fine, «credere o non credere è una domanda che interpella tutti». Così ieri sera, nella chiesa romana di Santo Spirito in Sassia, il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto emerito della Congregazione per i vescovi, ha introdotto le riflessioni a tre voci su Le virtù teologali: illuminarsi nel cammino, proposte assieme a lui dai cardinali Franc Rodé (La speranza) e Peter Kodwo Appiah Turkson (La carità), in un incontro organizzato dalla Fondazione Giovanni Paolo II, guidata dal vescovo Luciano Giovannetti, e dall’Associazione Res Magnae, presieduta da Marco Italiano, che ha avuto come «prologo» una riflessione affidata al direttore di Avvenire Marco Tarquinio.Re, nell’osservare a «quanti» e «quanto forti» venti contrari sia oggi esposta la fede, ha sottolineato come «l’Anno della fede viene a indicarci un cammino e un obiettivo» che, in quanto cristiani, dobbiamo raccogliere nella sua completezza, perché «se la fede è un atto personale, ha anche una dimensione comunitaria, va quindi tradotta in una vita coerente». E «una fede socialmente irrilevante non è la fede trasmessa a noi dagli apostoli»; per questo, ha concluso Re, «non basta essere credenti, dobbiamo anche essere credibili nella nostra testimonianza».Se la fede è ciò che ci mette in cammino, la speranza, ossia «l’attesa delle cose che Dio promette a chi lo ama», è ciò che dà senso a quel cammino. E dà senso in quanto – come ha messo in evidenza Rodè, prefetto emerito della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica – apre quel cammino verso il futuro, in una concezione del tempo «lineare» che, di fatto, si contrappone a quella concezione «circolare», fatta di «ere che si ripropongono ciclicamente» e nelle quali molto del pensiero umano ha creduto e crede di poter leggere la chiave dell’esistenza. Per Rodè questa è stata la «grande illusione» delle ideologie della storia, «fino al nazismo e al comunismo», e non è un caso che «quando gli uomini vogliono creare il paradiso in terra falliscono sempre, quando vogliono creare l’inferno riescono subito».Il cammino della fede, tuttavia, se è senza prospettiva, ossia senza speranza, neppure inizia; se non è continuamente alimentato «dalle opere che muovono dall’amore – ha detto il cardinale Turkson – si esaurisce, si spegne». Perché, ha affermato il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, «non si può amare Dio, che non si vede, se non amiamo i fratelli che vediamo». È questo amore ad alimentare la luce che ci accompagna dal momento del Battesimo, un amore che, alla fine, «è l’unica virtù che non passa mai, che resta in eterno». Così «vivere l’amore è far entrare la luce di Dio nel mondo». E questo, per Turkson, è l’impegno a cui la Chiesa «non potrà mai venire meno», perché «nessun ordinamento statale potrà mai rendere superfluo il concreto amore per il prossimo».
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