mercoledì 31 agosto 2016
Don Cortesi, l’ex segretario del cardinale racconta il cammino di riconciliazione compiuto. «Fu vicino per non lasciarli al proprio destino. E seppe conquistarne la fiducia». (Filippo Rizzi)
«Così Martini cambiò le vite dei brigatisti»
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È passato alla storia come il «segretario della consegna delle armi in arcivescovado nel lontano 1984 da parte degli ex terroristi», ma in fondo si avverte come «il collaboratore di una vita dei momenti più lontani dai riflettori della vita del cardinale Carlo Maria Martini». Don Paolo Cortesi, sacerdote ambrosiano, classe 1946, e oggi parroco a Milano nella centralissima chiesa di Santa Maria alla Porta, ha vissuto fianco a fianco del “suo” cardinale per sette anni (dal 1983 al 1990) nella veste di segretario personale e ha continuato in questo “ufficioso ruolo” anche negli anni successivi. «Martini mi chiese di aiutarlo nel periodi cosiddetti “feriali” del suo ministero dal 1990 al 2002 – racconta –. Gli sono stato accanto nei periodi da lui dedicati ai ritiri spirituali, trascorsi assieme, quasi sempre a dicembre, dai cistercensi a Lerin in Costa Azzurra e del riposo estivo in Trentino, in Sardegna e infine in Corsica dove Martini preparava le sue Lettere pastorali e io mi trovavo a raccogliere le sue impressioni sulla vita e sulla Chiesa.

Lì scoprii il Martini più interiore rispetto agli anni in cui, da semplice segretario, dovevo sbrigare un’attività più burocratica e formale... Mi ha sempre colpito la sua umiltà e la sua capacità di non fare mai pesare la sua cultura e le conoscenze delle lingue, a me che in fondo rimanevo un povero “prete di oratorio”». La mente di don Paolo corre all’evento che lo vide protagonista: la consegna delle armi in arcivescovado a piazza Fontana a Milano, avvenuta il 13 giugno di 32 anni fa. «Si è già scritto molto su quanto accaduto, ma quello che mi rimane ancora impresso fu l’imperturbabilità del cardinale vedendo le tre borse piene di armi. Così come davanti al fatto che ex terroristi del Cocori (Comitato comunista rivoluzionario) riconobbero in lui il simbolo di un processo di riconciliazione».

E rivela un particolare: «Il suo dialogo con il mondo del carcere aveva radici antiche. Ricordo le sue visite a San Vittore, come i suoi colloqui frutto di tante corrispondenze epistolari con molti dei detenuti “irriducibili”. Erano incontri personali dove il cardinale voleva conoscere le storie di queste persone, entrare nei loro drammi. Spesso mi diceva: “Non basta un cammino di riconciliazione, è necessario stare accanto a queste persone e non abbandonarle al loro destino...”. E questo stile di “pastorale concreta di vicinanza agli ultimi” imparata da giovane professore di critica testuale con il suo confratello Virginio Spicacci durante le sue visite negli anni Settanta al carcere di Nisida (Napoli), ha trovato conferma e “continuazione ideale” nei suoi incontri con gli ex terroristi e le vittime delle Br assieme al gesuita Guido Bertagna negli ultimi anni della sua vita...Voleva capire, ma anche rendersi utile per farsi tramite nella riconciliazione».

A quattro anni di distanza - che ricorrono proprio oggi - dalla scomparsa del porporato gesuita, don Cortesi – al cui fianco è stato accanto nella veste di “segretario aggiunto” «fino al giorno della sua morte a Gallarate» – rievoca alcuni aspetti poco conosciuti. «Mi ha sempre impressionato l’attenzione alla storia delle persone – rivela –. Pur minato dalla sua malattia voleva rispondere di persona con la sua grafia malferma - magari con una cartolina, un bigliettino - ai tanti che gli inviavano una lettera o un semplice saluto». Uno stile di attenzione e “prossimità” agli altri, in particolare gli ultimi, confermato anche da sue scelte quando fu arcivescovo di Milano (1980-2002).

«Ricordo che amava durante le visite pastorali – è la confidenza – chiedere ai parroci di visitare non solo i malati ma anche le loro case. Diceva: “Dobbiamo andare nelle abitazioni di queste persone e imparare tra le loro mura i drammi che vivono e cercare di offrire loro parole di consolazione e capire come veramente stanno”». Dall’album dei ricordi don Paolo estrae tante istantanee come «il desiderio di morire a Gerusalemme e di essere sepolto vicino al suo maestro Donatien Mollat». O il suo grande cruccio: «Lui che amava ripetermi “sono nato per comunicare”, non era più in grado di esprimersi con chiarezza a causa del Parkinson.

Un dolore per lui che era un innamorato della Parola». «Il cardinale Martini ormai prossimo alla fine, mi diceva che nel momento della morte – è la riflessione finale di don Cortesi – quando non ci sono vie d’uscita solo lì è il momento dell’affidamento e ci si scopre in quel buio credenti in Gesù».

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