mercoledì 1 febbraio 2017
Parla l’arcivescovo Carballo segretario del dicastero vaticano: nel 2015 e 2016 circa 2.300 abbandoni all’anno soprattutto tra i 30 e i 50 anni
«Discernimento e «formazione» per prevenire gli abbandoni
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Sabato scorso, parlando alla plenaria del dicastero competente, il Papa aveva parlato di «'emorragia' che indebolisce la vita consacrata e la vita stessa della Chiesa». E nell’analizzarne le cause aveva indicato alcuni fattori che condizionano la fedeltà in un’epoca in cui risulta difficile assumere impegni seri e definitivi. Si tratta in particolare della «cultura del frammento, del provvisorio». Cui va aggiunta – ha detto ancora il Papa – la realtà, complessa, del mondo giovanile, in cui accanto a generosità, impegno, solidarietà, si registrano tanti cedimenti «alla logica della mondanità » che si può sintetizzare nella «ricerca del successo a qualunque prezzo, del denaro e del piacere facile».

Ma non mancano neppure, all’interno della vita consacrata, accanto a tanta santità, le controtestimonianze. Un’analisi chiara e rigorosa, quella di papa Francesco, che trova eco nell’intervista rilasciata all’Osservatore Romano dall’arcivescovo José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. «Se il Papa parla di 'emorragia' vuol dire che il problema è preoccupante – spiega Carballo –, non soltanto per il numero ma anche per l’età in cui si verificano, la grande parte tra i 30 e 50 anni. Le cifre degli abbandoni negli ultimi anni restano costanti.

Negli anni 2015 e 2016 abbiamo avuto circa 2.300 abbandoni all’anno, compresi i 271 decreti di dimissione dall’istituto, le 518 dispense dal celibato che concede la Congregazione per il clero, i 141 sacerdoti religiosi incardinati pure et simpliciter in diverse diocesi e le 332 dispense dai voti tra le contemplative. Durante la plenaria ci siamo soffermati su tre constatazioni: l’elevato numero di chi lascia la vita consacrata per incardinarsi in una diocesi, il numero non indifferente delle contemplative che lasciano la vita consacrata e il numero di quelli che la abbandonano (225 casi) dicendo che mai hanno avuto vocazione. Si deve constatare che il più alto numero di abbandoni si ha tra le religiose, fatto almeno in parte spiegabile in quanto sono la grande maggioranza dei consacrati».

Un fenomeno, quello degli abbandoni che trova conferma anche nei numeri, pubblicati dall’agenzia Fides, che nel 2016 ha registrato una diminuzione di 694 unità tra i «religiosi non sacerdoti » che ora ammontano a 54.559. Più nello specifico aumenti si registrano in Africa (+331) e in Asia (+66), mentre diminuiscono in America ( 362), Europa (-653) e Oceania ( 76). Si conferma poi la tendenza alla diminuzione globale delle religiose, ancora superiore rispetto all’anno precedente, di 10.846 unità. Sono in tutto 682.729. Gli aumenti sempre in Africa (+725) e Asia (+604), le diminuzioni in America (- 4.242), Europa (-7.733) e Oceania (-200). Al di là dell’analisi, della fotografia della situazione, si tratta ora di intervenire, di assumere dei provvedimenti. «Penso – sottolinea ancora monsignor Carballo nell’intervista al quotidiano della Santa Sede – che si debba puntare prima di tutto sul discernimento» in cui «si deve curare insieme la dimensione umana, affettiva e sessuale, la dimensione spirituale e di fede e anche quella intellettuale.

Si deve prestare attenzione alle motivazioni, senza lasciarsi condizionare dalla tentazione del numero e della efficacia, come ci ha ricordato papa Francesco. La vita consacrata non è per tutti e non tutti sono per la vita consacrata». Allo stesso tempo «è fondamentale curare la formazione, a partire dalla formazione permanente, humusdi quella iniziale. Questa a sua volta dovrà essere: una formazione personalizzata e in chiave di processo; evangelicamente esigente ma non rigida; umana e motivatrice, inculturata; una formazione alla fedeltà; una formazione a un’affettività sana e feconda».

Al centro della plenaria, che sabato ha incontrato il Papa, il documento del 1978 ' Mutuae relationes', sui rapporti tra i vescovi e i religiosi nella Chiesa. «Non si tratta di una semplice revisione dell’attuale testo – spiega l’arcivescovo – ma di dare vita a un documento nuovo, che «terrà conto non soltanto delle relazioni tra pastori e consacrati chierici, ma tra pastori e tutte le forme di vita consacrata, maschile e femminile. Le sfide principali che vedo fanno riferimento a come applicare i principi teologici e giuridici che saranno alla base del nuovo testo », (cioè Chiesa di comunione, co-essenzialità tra doni gerarchici e carismatici, la dimensione sponsale della Chiesa e della vita consacrata, la giusta autonomia dei consacrati, la sana tensione tra particolare e universale), «alla vita concreta tra i pastori e i consacrati nelle Chiese particolari».

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