martedì 5 aprile 2016
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Nel 1998, in occasione del trentesimo anniversario della fondazione di Avvenire, monsignor Pasquale Macchi invitò il quotidiano e i suoi lettori a festeggiare la ricorrenza. «È giusto fare festa – sosteneva l’allora arcivescovo emerito di Loreto – trent’anni di Avvenire sono un grande dono alla Chiesa italiana e a tutto il Paese. Non posso non ricordare l’attenzione che Paolo VI ebbe per questo giornale voluto espressamente da lui». Del vigile interesse, costantemente manifestato da papa Montini per il quotidiano cattolico nazionale, fondato il 4 dicembre del 1968, Macchi fu testimone diretto. Accanto a Montini in qualità di segretario sin dall’inizio del suo episcopato milanese, Macchi ricordava la partecipazione con la quale, dalla seconda metà degli anni Cinquanta, l’arcivescovo di Milano seguì le vicende del quotidiano diocesano L’Italia, accorgendosi così «delle urgenze di una stampa che potesse farsi sentire dappertutto e offrire una lettura ponderata degli avvenimenti, una interpretazione alla luce del Vangelo, e anche far conoscere l’attività della Chiesa nella sua verità». Fu in quegli anni milanesi, in occasione di un’udienza natalizia concessa ai redattori de L’Italia, che Montini comunicò per la prima volta il desiderio di avere un giornale cattolico nazionale. Divenuto Papa, Paolo VI promosse il progetto di unificazione de L’Italia col quotidiano bolognese L’Avvenire d’Italia, esprimendo l’auspicio – rammentava Macchi – «di raggiungere tutta la Penisola con una voce serena e veritiera». A muovere l’azione di Montini vi era, per il segretario del Pontefice, la constatazione che la stampa cattolica avesse una duplice funzione: «Quella di gareggiare nobilmente con l’altra stampa e di meritarsi una preferenza presso i buoni cattolici: e quella non solo di informare i suoi lettori, ma di formarli, di abituarli a giudicare le cose e gli avvenimenti in conformità alla coscienza cristiana». Fedele alla volontà del Papa, fu monsignor Macchi, insieme al sostituto alla Segreteria di Stato monsignor Giovanni Benelli, ad interessarsi particolarmente affinché ad Avvenirenon mancasse mai il sostegno della Chiesa italiana. La «generosità» e la «lungimiranza » con le quali il Papa invitò in diverse occasioni i cattolici italiani a sostenere il giornale, erano vissute in maniera diretta e concreta anche da Macchi che, per conto di Paolo VI, partecipò ad alcuni incontri organizzati in Segreteria di Stato per affrontare la situazione del giornale. Il segretario del Pontefice fu testimone dei «gesti di stima e di amicizia » di Montini verso il primo direttore di Avvenire, Leonardo Valente e ancor più della vicinanza che Paolo VI dimostrò sempre al successore, Angelo Narducci. Pochi sanno che fu monsignor Macchi, su suggerimento di don Franco Costa, a segnalare al Papa Narducci, che poi fu chiamato a guidare il giornale per un decennio, tra il 1969 e il 1979, consolidando il profilo di Avvenire e portandolo ad una più ampia diffusione sul territorio nazionale. Se Paolo VI, come confidò egli stesso ad alcuni giornalisti cattolici, ogni mattina leggeva per primo Avvenire, il suo segretario, quasi quotidianamente telefonava al direttore del giornale per commentare gli articoli pubblicati. Macchi mantenne questa abitudine anche dopo la morte di papa Montini, per diversi anni, così come immutata restò la sua fedeltà e la sua dedizione verso il quotidiano cattolico nazionale, in omaggio, pure in questo, alla memoria del “suo” Papa che tanto fermamente aveva operato per far nascere il giornale. «Io devo dare la mia più viva e fervida testimonianza – scrisse Macchi al riguardo –: Paolo VI ha voluto Avvenire, con grande determinazione, superando non pochi ostacoli, per amore della Chiesa italiana, per amore del popolo italiano», spinto in questa sua opera «dalla profonda persuasione che l’ora nostra merita un impegno profondo di pensiero e di azione, non soltanto per difendere il tesoro prezioso che la tradizione ci ha fatto pervenire, ma altresì per mostrarne l’incomparabile pregio, la perenne vitalità, la sorprendente attualità, la meravigliosa giovinezza e inesauribile fecondità. Il Vangelo non è vecchio – concludeva monsignor Macchi, riportando le sempre attuali parole di Paolo VI – è eterno, solo che oggi vuole essere vissuto in pienezza, con coscienza nuova della sua originalità e della sua necessità e con dedizione nuova». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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