venerdì 10 maggio 2013
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Il restauro delle chiese, ovvero «la cultura della prevenzione». Un investimento sul quale le diocesi italiane stanno puntando molto, anche grazie ai fondi dell’8xmille (come dimostrano i dati che pubblichiamo a parte). Ma che richiede un ulteriore sforzo. Soprattutto al fine di limitare al massimo i danni dei terremoti. L’argomento è da ieri al centro del convegno promosso dall’Ufficio nazionale della Cei per i beni culturali ecclesiastici, in collaborazione con il competente Ministero, e ospitato nella prestigiosa cornice della Sala del Mappamondo di Palazzo Venezia. Un modo più che degno per celebrare la XX Giornata nazionale dei beni culturali ecclesiastici, anche perché fin dalle prime battute è apparso chiaro che si tratta di un tema di grande attualità.Se si prendono infatti in considerazione i terremoti dell’Aquila e dell’Emilia, è facile verificare che le chiese sono gli edifici più colpiti. Ecco perché quest’anno si è deciso di puntare sul «miglioramento sismico dell’edificio di culto di valore storico artistico». E invece, come ha fatto notare nel suo intervento di apertura il vescovo segretario generale della Cei, Mariano Crociata, «le conseguenze nefaste di eventi calamitosi possono essere attenuate considerevolmente da un’azione cosciente e ordinata».Naturalmente, però, c’è restauro e restauro. E infatti Crociata ha anche fatto appello «affinché quanto viene realizzato in questo ambito sia all’insegna della professionalità». Ne derivano atteggiamenti e condotte precise: «Il dialogo e la collaborazione con le Soprintendenze – ha elencato il vescovo –; l’urgenza della formazione e dell’aggiornamento degli operatori diocesani per i beni culturali ecclesiastici; la collaborazione attiva e convinta con gli Uffici diocesani coinvolti; la cura delle Commissioni diocesane per l’arte sacra e i beni culturali, da innervare con professionisti esperti e qualificati; l’attenzione a dare evidenza sul territorio al servizio svolto dagli Uffici diocesani, favorendo di conseguenza l’indispensabile riferimento a questi da parte delle comunità ecclesiali». Soprattutto, però, ha sottolineato il segretario generale della Cei, occorre una «seria progettazione e programmazione economica degli interventi». E infatti «la giusta e indispensabile attenzione a far quadrare le spese non deve andare in nessun modo a discapito della qualità del lavoro e dei lavoratori». Quindi no ai «ribassi "selvaggi" sugli appalti dei lavori di restauro e all’utilizzo di imprese non sufficientemente qualificate». In definitiva un invito, quello del vescovo, a seguire precisi criteri di intervento.L’introduzione di Crociata ha trovato poi molti addentellati nella relazione dell’amministratore apostolico di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica e presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali. «Conservare il patrimonio delle nostre chiese significa conservare non solo la materialità di cui sono fatte, ma anche le esperienze che le hanno generate e i significati che in esse sono racchiusi», ha detto. In altri termini «questo significa che il restauro e la conservazione devono essere pensati sempre nel solco della presenza viva della comunità cristiana anche quando non vi fosse più un uso strettamente liturgico. Per questo non si dovrebbero estrapolare, per quanto possibile, le opere d’arte dai loro contesti originali e vitali». Inoltre in occasione del restauro «è necessario prendere in seria considerazione, il tema dell’adeguamento liturgico, considerandolo parte integrante dell’intervento e senza alcuna improvvisazione».
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