martedì 17 settembre 2019
Dal sito Expo agli scali ferroviari dismessi ai grattacieli di CityLife, la diocesi ambrosiana pensa a nuovi luoghi di culto. Il vicario episcopale: «Antidoto alla riduzione consumistica»
Monsignor Luca Bressan (Fotogramma)

Monsignor Luca Bressan (Fotogramma)

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«Fossimo ai tempi dell’arcivescovo Montini, non ci sarebbe forse venuto in mente di mettere una chiesa dove c’è CityLife? Penso di sì. Ed è quello che desideriamo fare oggi. Ma insediarvi una classica parrocchia con oratorio, è l’ultima cosa che immaginiamo. Serve altro, lì. Ebbene: il "Piano per le attrezzature religiose" del Comune di Milano sta provocando la Chiesa ambrosiana a ripensare la propria presenza in una città che cambia e nella quale sta cambiando il modo di vivere la città», scandisce il vicario episcopale per la Cultura, la carità, la missione e l’azione sociale della diocesi di Milano, monsignor Luca Bressan. «In questa città ci sono popoli e mondi – come quello giovanile – ai quali il reticolo parrocchiale disegnato nel passato va stretto, e che rischiano di non potersi incontrare con l’esperienza cristiana – riprende Bressan –. E c’è una sfida che, come Chiesa cattolica, vogliamo affrontare assieme alle altre Chiese cristiane e alle altre religioni: aiutare la città a capire che la dimensione religiosa è una ricchezza per tutti. E che una città senza chiese né templi, là dove la città vive e cresce, è una città più povera, meno pronta e meno capace di far maturare l’uomo».

Mind, il «Milano Innovation District», l'area che ospitò l'Expo del 2015; Cascina Merlata, quartiere nuovo di zecca edificato accanto al sito di Expo; CityLife, quartiere sorto, con i suoi grattacieli firmati da archistar, sulle ceneri della storica Fiera Campionaria; Montecity Rogoredo, vasto nucleo residenziale e terziario realizzato alla periferia sud est di Milano; infine, gli scali ferroviari dismessi Romana e Farini: sono questi gli ambiti nei quali la diocesi di Milano ha chiesto di poter realizzare nuove «attrezzature religiose». A che punto siamo?
Siamo dentro un processo, dentro un dialogo che continua: con il Comune – col quale c’è davvero un buon dialogo, che ci ha portati a identificare i luoghi in cui essere presenti – e con le proprietà delle aree. È dentro questo confronto, e leggendo insieme anche i bisogni dei quartieri, che vogliamo procedere.

Perché costruire nuove chiese a Milano? Qualcuno potrebbe dire che ce ne sono già tante, e non tutte, e non sempre piene... E lo stesso si potrebbe dire degli oratori e d’altre strutture...
È vero: diminuiscono preti e fedeli, calano i battezzati, e questo è legato al calo demografico ma anche alla crescita del pluralismo religioso. Ma se ci limitiamo a gestire l’esistente, in 15 anni avremo in città una Chiesa presente a macchia di leopardo, con un eccesso di concentrazione in alcune zone – magari demograficamente più "mature" – e una totale assenza da altre. Ebbene: il Piano per le attrezzature religiose ci sta chiamando ad aprire gli occhi sul rischio di vivere ripiegati su noi stessi, nella gestione di quel reticolo capillare di parrocchie che abbiamo ereditato dagli anni ’50-’70 e che non solo non abbiamo le forze per sostenere, ma che, soprattutto, non basta più alla città che cambia.

Ecco: come sta cambiando, Milano?
La logica del quartiere autosufficiente è finita. La città vive una mobilità che porta nello stesso spazio "popoli" diversi. Così c’è la città degli studenti, quella degli universitari, quelle del lavoro, del turismo e del divertimento, della salute e della sanità, dei residenti... È questa Milano che cambia a interpellare la comunità cristiana. E parlo di "comunità cristiana", non di "comunità parrocchiale", perché dovremo abituarci a capire che una città con un’esperienza così plurale ha bisogno di un cristianesimo plurale – nella logica della pluriformità nell’unità che ci ha insegnato il cardinale Scola. Perciò dobbiamo imparare a riconoscere come dono e a valorizzare – come ha chiesto il Sinodo Chiesa dalle genti voluto dall’arcivescovo Delpini – realtà come le comunità di vita consacrata, che stanno vivendo un processo di apertura allo straniero rispetto al quale noi facciamo più fatica. Cambia la città: ma anche la Chiesa, che è un corpo vivo, evolve sempre.

La «situazione» di pluralismo religioso di Milano – usiamo il linguaggio della nuova proposta pastorale dell’arcivescovo Delpini – quale «occasione» rappresenta per la nostra diocesi?
Vogliamo aiutare le Chiese cristiane e le comunità religiose a comprendere che dobbiamo inserirci tutti insieme nella medesima città, perché la città possa capire quale ricchezza rappresenta la dimensione religiosa. Ci sono sfide da affrontare insieme come la pace, la salvaguardia del creato, l’ecologia umana, la cura e la promozione della dimensione mistica, come abbiamo fatto durante l’Expo. Chiese e templi sono un grande antidoto alla riduzione consumistica della persona e della vita sociale.

Torniamo agli ambiti ai quali guarda la diocesi?
Cascina Merlata è il luogo su cui stiamo lavorando di più. È un quartiere nuovo, che nasce con tremila unità abitative e una presenza diurna molto forte. Nell’ex area Expo pensiamo ad una presenza – noi, con le altre fedi – in dialogo col sapere scientifico e l’innovazione tecnologica, che si prende a cuore lo "human" e il suo bene. Perciò abbiamo avviato un confronto che coinvolge l’Università Statale, il suo rettore, il presidente dello Human Technopole – che parteciperà ai Dialoghi di vita buona promossi dalla nostra diocesi, che rilanceremo dal 9 dicembre prossimo. Guardiamo con attenzione alle esperienze delle altre metropoli europee. Per CityLife è interessante, ad esempio, la risposta data dall’arcidiocesi di Parigi nel quartiere della Défense, dov’è stata costruita una chiesa strana, molto verticale: concepita non per un’assemblea domenicale – in quel quartiere di uffici e finanza non c’è nessuno, la domenica – ma per i momenti in cui il quartiere si popola di persone, alle quali offrire una presenza cristiana che "intercetta" e interroga con la celebrazione dell’Eucaristia, la preghiera, forme specifiche di liturgia e di catechesi. E con un’attenzione ai mondi meno visibili come i poveri, attraverso forme di carità.

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