sabato 22 settembre 2018
L'accordo raggiunto mette fine alle ordinazioni illegittime, resta l'incognita sulla sua resistenza ad attacchi e difficoltà
Evitare trionfalismi, ma ora è più legittimo sperare
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La firma di un accordo tra Santa Sede e governo cinese è ora ufficiale. Si fa ancor fatica a crederci. Troppi motivi sembravano renderlo impossibile: una lunga storia di incomprensioni e accuse reciproche; le sofferenze dei cattolici cinesi in passato e le loro difficoltà attuali; la dura opposizione di grandi potenze e di governi tenaci; le critiche all'interno di tutte e due i campi…Tutto ciò ha impedito per moltissimi anni qualunque intesa: già Paolo VI sperava di stabilire contatti e già nel 1980 ci sono stati i primi rapporti diretti.
E sebbene un accordo sia stato perseguito anche da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, è stato Francesco a compiere il passo conclusivo. Ma ora, finalmente, le due parti hanno annunciato ufficialmente di aver raggiunto un’intesa.
Si tratta, insieme, di un piccolo passo e di un evento storico. L’accordo, ad experimentum, avrà una durata limitata e potrà subire adattamenti e la sobrietà del comunicato vaticano suona come un invito alla misura e alla prudenza. Chi ha condotto questa lunga trattativa, insomma, non mostra alcun trionfalismo. Ma per i cattolici, cinesi e di tutto il mondo, è una gran buona notizia. Non conosciamo i termini dell’accordo: le due parti hanno stabilito di tenerli riservati. Ma la storia degli ultimi settant'anni parla chiaramente. Il tema delle nomine dei vescovi rimanda infatti al trauma delle prime ordinazioni “illegittime” - e cioè senza il mandato apostolico - di vescovi cattolici in Cina nel 1958. Si aprì una ferita profonda.

Nella Chiesa cattolica non ci possono essere vescovi ordinati contro la volontà del papa e il codice di diritto canonico prevede per loro la scomunica. Quando il loro numero cresce ed emerge una chiara volontà di divisione da Roma, inoltre, si parla di scisma. È il caso recente dei lefebvriani o, per richiamare la grande storia, della Chiesa ortodossa o di quelle della Riforma. Ma Roma non è mai arrivata a dichiarare scismatica la Chiesa in Cina. Sono prevalse la convinzione di trovarsi davanti a situazioni storiche eccezionali, la consapevolezza del ruolo svolto da fattori ideologici e politici piuttosto che religiosi ed ecclesiali, la conoscenza delle persone… La ferita è rimasta, anzi si è rinnovata ad ogni nuova ordinazione episcopale illegittima, da ultimo nel 2012.

Ma il tempo ha dato ragione a chi si è ispirato a sapienza pastorale e a carità ecclesiale: appena hanno potuto, dopo la fine della rivoluzione culturale, ad uno ad uno i vescovi illegittimi hanno chiesto il perdono del Papa e il ritorno alla comunione cattolica.

Tutti, compresi gli ultimi sette che il Papa ha riaccolto in questi giorni nella comunione nella Chiesa universale. E ora, stabilendo modalità condivise per ordinare nuovi vescovi cattolici in Cina, l’accordo mette fine alle ordinazioni illegittime. Per sempre, se sarà rispettato. Ecco perché è davvero una buona notizia.
Tutto bene dunque? Certamente no. Sappiamo con certezza che con questo accordo la Santa Sede ha tenuto fermi i principi dottrinali indicati, nella Lettera ai cattolici cinesi del 2007, da Benedetto XVI, rispetto al quale Francesco si è mosso in piena continuità. Non sappiamo ancora, invece, se il metodo adottato funzionerà e se reggerà ad attacchi e difficoltà. Restano inoltre aperte molti altre questioni, anzitutto quella dei vescovi “clandestini”. Seguono le questioni dell’Associazione patriottica, dei confini delle diocesi della Conferenza episcopale.

E poi ci sono i tanti problemi quotidiani che i cattolici cinesi si trovano ogni giorno ad affrontare. Già da domani, insomma, bisognerà rimettersi al lavoro e non mancheranno incomprensioni e difficoltà.
Ma oggi è diventato possibile sperare, come conclude il comunicato vaticano, che «tale intesa favorisca un fecondo e lungimirante percorso di dialogo istituzionale e contribuisca positivamente alla vita della Chiesa cattolica in Cina, al bene del popolo cinese e alla pace nel mondo».

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