sabato 4 agosto 2018
Don Umberto Bordoni ricorda il «suo» arcivescovo, del quale fu stretto collaboratore negli anni in cui guidò la Chiesa ambrosiana
Il cardinale Dionigi Tettamanzi incontra i cresimandi allo stadio San Siro di Milano

Il cardinale Dionigi Tettamanzi incontra i cresimandi allo stadio San Siro di Milano

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Il 5 agosto ricorre il primo anniversario della morte del cardinale Dionigi Tettamanzi. Alle 17.30 a Villa Sacro Cuore a Triuggio (il luogo dove si spense a 83 anni la mattina del 5 agosto 2017 e dove visse gli ultimi anni della sua esistenza) si terrà una Messa per ricordare la figura del porporato creato cardinale nel 1998 da Giovanni Paolo II, che fu segretario generale della Cei (1991-1995), arcivescovo di Ancona-Osimo (1989-1991), Genova (1995-2002) e Milano (2002-2011). Dopo aver concluso il suo ministero ambrosiano, Tettamanzi fu chiamato da Benedetto XVI a guidare la diocesi di Vigevano come amministratore apostolico dal 2012 al 2013. Durante il suo episcopato ad Ancona-Osimo fu inoltre alla guida del consiglio di amministrazione della Nei Spa, l’editrice di Avvenire. Lunedì, invece, alle 20.30 don Umberto Bordoni, già segretario particolare di Tettamanzi, celebrerà una Messa nel Santuario dedicato alla Madonna di Campoè (in provincia di Como ma arcidiocesi di Milano). In questa circostanza verrà donata al Santuario mariano una stola appartenuta al cardinale Tettamanzi. Domenica 12 agosto infine nel Duomo di Milano alle 17.30 è in programma una Messa di suffragio presieduta dal secondo successore di Tettamanzi, l’arcivescovo Mario Delpini.

È stato in un certo senso non solo il segretario del cardinale Dionigi Tettamanzi ma anche «l’autentico contubernale», ossia il commilitone, come lo fu Loris Francesco Capovilla per papa Giovanni XXIII. A un anno dalla scomparsa del “suo” cardinale di cui fu stretto collaboratore negli anni del lungo episcopato ambrosiano (dal 29 settembre 2002 al 28 giugno 2011) don Umberto Bordoni, classe 1972, rievoca del suo “antico superiore” i tratti di umiltà, mitezza e pace interiore «che sempre lo hanno contraddistinto anche quando fu contestato....».

Don Bordoni che oggi è vicario parrocchiale della chiesa di Sant’Andrea a Milano intravede tra Roncalli e Tettamanzi una continuità di stile pastorale. «Penso al motto episcopale scelto da Tettamanzi “Gaudium et pax”, gioia e pace, che simboleggia, pur da prospettive diverse, quello stesso stile di apertura al mondo e di attenzione agli uomini di buona volontà che ha cadenzato il pontificato giovanneo». E accenna a un particolare: «Il cardinale Dionigi aveva anche una certa somiglianza fisiognomica con il “Papa buono”. Si serviva spesso di questo particolare asserendo che papa Giovanni era un po’ più alto e un po’ più largo di lui...». E non a caso don Umberto – che per la diocesi ambrosiana ricopre oggi anche il ruolo di direttore della “Scuola Beato Angelico” e di responsabile della sezione per la Committenza artistica – rammenta del suo “arcivescovo” («un lavoratore instancabile») l’«umile perseveranza brianzola» con cui nel solco di Ambrogio e di Carlo Borromeo difese «le istanze degli ultimi, i più indifesi».

Poi rievoca l’impronta di un uomo attento «alla fede dei semplici e dei piccoli ai quali – insisteva– è annunciato, in modo privilegiato, il Regno di Dio». Un uomo semplice e allo stesso tempo colto, agli occhi del suo segretario, armato di virtù come «la fermezza e la speranza per andare avanti nonostante tutto», capace soprattutto con i suoi gesti spontanei e non affrettati di entrare in dialogo con i fedeli. «Quante lacrime ha asciugato, quante mani ha stretto, quante confidenze lontane dai riflettori dei flash dei fotografi ha raccolto – è la riflessione –. Riteneva importantissimo, a conclusione di ogni Eucaristia, salutare uno per uno i fedeli». E sottolinea: «Questo stile di prossimità imparato da giovane prete ambrosiano se l’è portato dietro ad Ancona, alla Cei, a Genova a Milano e poi a Vigevano».

Don Bordoni sente dentro di sé la convinzione che il cardinale morto il giorno precedente alla scomparsa (il 6 agosto) del suo amato e «venerato» Giovanni Battista Montini avrebbe gioito per l’imminente canonizzazione di Paolo VI il prossimo 14 ottobre. «Montini è stato l’arcivescovo di Milano che lo consacrò prete nel 1957 e lo ha sempre riconosciuto come il padre del suo sacerdozio. E appena fatto ingresso come suo terzo successore sulla Cattedra di Ambrogio ha fatto riferimento alla visione pastorale e moderna di Montini. Inoltre si è speso in modo generoso assieme al segretario di Paolo VI, monsignor Pasquale Macchi, per la sua beatificazione. E ogni anno nell’anniversario della morte ha voluto celebrare una Messa sulla tomba di Montini. Da lui ha soprattutto imparato ad essere pastore del popolo ambrosiano».

Dal suo album dei ricordi don Bordoni accenna allo «stile di obbedienza» del cardinale verso il successore di Pietro. «Penso al legame particolare di amicizia e collaborazione che ebbe anche su temi delicati come la pastorale familiare con Giovanni Paolo II. Mi torna in mente la grande ammirazione teologica per Benedetto XVI. Non gli ho mai sentito proferire una parola che non fosse di rispetto e di amore per il Santo Padre». E aggiunge un aneddotto: «Sono rimasto colpito dalle belle parole e non di circostanza con cui papa Francesco nel suo telegramma volle ricordare Tettamanzi. Si conobbero da cardinali e mi impressionò un particolare: quanto Bergoglio chiedesse ogni volta all’arcivescovo Dionigi sullo stato di salute della cara mamma Giuditta. A rendere simile lo stile è stata proprio l’attenzione al mondo degli affetti con un occhio personale alla condizione sociale di tanti fedeli, senza mai giudicare».

La mente di don Bordoni torna ai funerali in Duomo che si tennero l’8 agosto di un anno fa quando una folla immensa (come successe cinque anni prima per Carlo Maria Martini) tributò l’ultimo omaggio all’amato cardinale. «Credo che sia stato il gesto semplice di un popolo che riconosceva in lui un padre e una guida. La gente si è stretta attorno al suo feretro per dirgli semplicemente “grazie”. E uno dei regali più belli fatti da “don Dionigi” a quasi ciascun fedele di una diocesi vastissima è stato quello di consegnare e così conservare di lui un ricordo personale». «Ritengo che uno dei suoi lasciti maggiori sia stato quello di essere un pastore che ha mostrato al suo gregge il valore bello e genuino di “essere preti per sempre” nell’ordinario della vita comune». E annota infine un particolare: «Amava spesso ripetere un’espressione di sant’Ambrogio che recita così: “Omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est”. Ogni verità da chiunque sia detta proviene dalla Spirito Santo. Lui ha avuto questa fermezza nei confronti della verità. E questa è stata la sua obbedienza, l’obbedienza al Vangelo».

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