mercoledì 6 dicembre 2017
Esce il volume «Prediche corte, tagliatelle lunghe», un’antologia di discorsi, omelie, catechesi e relazioni del cardinale Carlo Caffarra scomparso lo scorso settembre
Il cardinale Carlo Caffarra (1938-2017) che ha guidato l’arcidiocesi di Bologna dal 2003 al 2015

Il cardinale Carlo Caffarra (1938-2017) che ha guidato l’arcidiocesi di Bologna dal 2003 al 2015

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Più di duecento pagine proposte come un «assaggio che può far venire l’acquolina di andare alla fonte». E la fonte è il magistero del cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo emerito di Bologna scomparso lo scorso 6 settembre. È lui l’autore del volume «Prediche corte, tagliatelle lunghe», un’antologia di discorsi, omelie, catechesi e relazioni che il porporato ha pronunciato dal febbraio 2004 al giugno 2017. Il libro postumo (Edizioni Studio Domenicano; 209 pagine; 13 euro) esce il 7 dicembre. Avvenire anticipa alcuni brani di Caffarra e la prefazione dell’arcivescovo suo successore, Matteo Maria Zuppi. I curatori del volume, il domenicano Giorgio Carbone e il giornalista Lorenzo Bertocchi, definiscono il cardinale «un autentico maestro e padre nella fede» e spiegano che i suoi interventi sono come «una grande tavola imbandita di ogni ben di Dio». Nel libro «c’è un bel piatto di tagliatelle» che sono «buone per tutti i gusti» e rappresentano «spunti per l’anima offerti da uno chef d’eccezione». Bertocchi e Carbone ricordano anche che il porporato era sì «timido e schivo» ma anche dotato «di una punta di amabile ironia» tanto che sul «comodino aveva sempre qualche libro di Giovannino Guareschi». Dieci i capitoli che hanno i seguenti titoli: «Decifrare il senso»; «Il nostro contemporaneo»; «L’incontro decisivo»; Credere e amare»; «Attira tutti a sé»; «Guardate al principio»; «Guidare a un incontro»; Non c’è pace senza verità»; «Fatti per la libertà e il bene»; e «La morte non ha più alcun potere».


Le cinque insidie per la Chiesa di oggi

L'alternativa ad una Chiesa senza dottrina non è una Chiesa pastorale, ma una Chiesa dell’arbitrio e schiava dello spirito del tempo: praxis sine theoria coecus in via, dicevano i medioevali. Questa insidia è grave, e se non vinta causa gravi danni alla Chiesa. Per almeno due ragioni. La prima è che, essendo la Sacra Doctrina niente altro che la divina Rivelazione del progetto divino sull’uomo, se la missione della Chiesa non si radica in essa, che cosa la Chiesa dice all’uomo? La seconda ragione è che quando la Chiesa non si guarda da questa insidia, rischia di respirare il dogma centrale del relativismo: in ordine al culto che dobbiamo a Dio e alla cura che dobbiamo all’uomo, è indifferente ciò che penso di Dio e dell’uomo. La quaestio de veritate diventa una questione secondaria.
La seconda insidia è dimenticare che la chiave interpretativa della realtà tutta ed in particolare della storia umana non è dentro la storia stessa. È la fede. San Massimo il Confessore ritiene che il vero discepolo di Gesù pensa ogni cosa per mezzo di Gesù Cristo e Gesù Cristo per mezzo di ogni cosa. Faccio un esempio molto attuale. La nobilitazione dell’omosessualità, alla quale assistiamo in Occidente, non va interpretata e giudicata prendendo come criterio il mainstream delle nostre società; oppure il valore morale del rispetto che si deve ad ogni persona, il che è metabasis eis allo genos, cioè passaggio a un altro genere, direbbero i logici. Il criterio è la Sacra Doctrina circa la sessualità, il matrimonio, il dimorfismo sessuale. La lettura dei segni dei tempi è un atto teologale e teologico.
La terza insidia è il primato della prassi [insidia di origine marxista]. Intendo il primato fondativo. Il fondamento della salvezza dell’uomo è la fede dell’uomo, non il suo agire. Ciò che deve preoccupare la Chiesa non è in primis la co-operazione col mondo in grandi processi operativi, per raggiungere obiettivi comuni. L’insonne preoccupazione della Chiesa è che il mondo creda in Colui che il Padre ha mandato per salvare il mondo. Il primato della prassi conduce a quella che un grande pensatore del secolo scorso chiamava la dislocazione delle Divine Persone: la seconda Persona non è il Verbo ma lo Spirito Santo.
La quarta insidia, molto legata alla precedente, è la riduzione della proposta cristiana ad esortazione morale È l’insidia pelagiana, che Agostino chiamava l’orrendo veleno del cristianesimo. Questa riduzione ha l’effetto di rendere la proposta cristiana molto noiosa, e ripetitiva. È solo Dio che nel suo agire è sempre imprevedibile. E infatti al centro del cristianesimo non sta l’agire dell’uomo, ma l’Azione di Dio.
La quinta insidia è il silenzio circa il giudizio di Dio, mediante una predicazione della misericordia divina fatta in modo tale che rischia di far scomparire dalla coscienza dell’uomo che ascolta la verità che Dio giudica l’uomo.

Il presepio? E' già annuncio

Il presepio è rappresentazione della nascita del Salvatore, e anche di come fu accolto, o rifiutato. È quindi rappresentazione del primo incontro degli uomini con Cristo, e in quel primo incontro nella storia subito si vide chi Lo accoglieva e lo riconosceva come senso della vita, e Lo adorava orientando a Lui la sua vita, e chi Lo rifiutava e anche Lo combatteva. Le semplici figure dei presepi da sempre annunciano la presenza di Cristo e mettono in guardia contro il sempre ricorrente rischio di non accoglierLo. Ma fare il presepio è già una dichiarazione e un annuncio: far posto a Gesù Bambino nei luoghi dove quotidianamente si vive vuol dire che si intende far posto a Lui nella vita, e che si intende portargLi i doni delle nostre opere.
Immaginiamo che in una scuola si voglia celebrare il Natale. Può essere che ci sia qualche insegnante nelle scuole che… per rispetto a qualche bambino musulmano presente in aula parli e presenti il Natale come la festa del solstizio, con l’inevitabile presenza di Babbo Natale, e gli immancabili sermoni sulla pace e la solidarietà. Si trasforma cioè una narrazione storica in un “mito” che offre lo spunto per esortazioni moralistiche.
Si compie in realtà un’operazione ideologica, che viene imposta al bambino, sradicandolo dalla tradizione in cui vive. […] L’oblio della tradizione o la sua trascuratezza ci fa ripartire dal niente, costringendoci a costruzioni ideologiche dettate dal momento.


No al supermercato delle religioni

Gesù Cristo è la stessa verità. Mosè non ha fatto che trasmettere la Legge; altri hanno trasmesso una dottrina religiosa o morale: Gesù Cristo invece non ci procura solo il dono della Verità, ma Egli stesso è questo dono, perché è il Verbo fatto carne. È questa singolarità ed unicità di Cristo che conferisce all’avvenimento che oggi celebriamo [il Natale] un significato assoluto ed universale, per cui, pur essendo un avvenimento accaduto dentro alla storia, ne è il centro e il fine. A causa di ciò che oggi è accaduto, la storia umana è rimasta per sempre divisa in due tempi: prima di Cristo-dopo Cristo. Questa posizione di Cristo fa sì che Egli non possa essere collocato nel “super-mercato delle religioni” dove l’uomo entrando “compra” ciò che meglio risponde alle sue esigenze. La posizione di Cristo nella storia dell’umanità non consente che Egli sia relativizzato; che il cristianesimo sia computato come una fra le altre religioni. Chi relativizza il Cristo, anche se poi ne esalta la persona, in realtà lo ha già abbandonato.
Il principale nemico della nostra fede è l’indifferentismo o relativismo religioso. Esso consiste nel ritenere che tutte le religioni si equivalgono; che in ordine al culto che noi dobbiamo a Dio è indifferente ciò che noi pensiamo di Lui; che in ordine alla nostra appartenenza alla Chiesa non hanno rilevanza le nostre idee in fatto di religione, ma riteniamo forse più rilevanti le nostre idee politiche. Quale è stata la vera guarigione del cieco? La sua fede. Egli ha riconosciuto in Gesù il suo Signore e gli si è prostrato davanti.

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