venerdì 27 luglio 2012
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​«Adotta una chiesa provvisoria per l’Emilia». È questa la proposta lanciata da Bologna a tutte le diocesi d’Italia e non solo, da "Dies Domini", il Centro studi per l’architettura sacra e la città della Fondazione "Cardinal Giacomo Lercaro". «Il nostro laboratorio – spiega l’architetto Claudia Manenti, direttore del Centro – ha coinvolto una trentina tra architetti e ingegneri. Il primo obiettivo è stato di proporre e donare alle comunità delle zone terremotate spazi consoni alla vita comunitaria. La chiesa non è indifferente al luogo in cui si trova, e quindi si avverte la necessità di avere luoghi di incontro e di preghiera. Cercando di evitare che i parroci vengano convinti ad adottare soluzioni apparentemente più economiche (è il caso delle tende), che invece hanno costi di gestione assurdi nel medio periodo (da 4 a 8mila euro al mese)». Ieri sono stati presentati 8 progetti di diverse dimensioni scaturiti dal lavoro del Laboratorio. E sono stati consegnati alle diocesi di Bologna, Carpi, Reggio Emilia, Modena, Mantova e Ferrara perché si possa realizzare uno o tutti questi progetti per supportare le popolazioni alle quali manca una chiesa o un luogo di ritrovo per la comunità». Cosa deve fare la diocesi o l’ente che vuole "adottare la chiesa provvisoria"?Spiega Manenti: «Deve individuare qual è il luogo dove vuole muoversi, e contattare il responsabile diocesano che ha questo tipo di incarico e che noi segnaliamo per ogni diocesi. La nostra è un’offerta di tipo culturale a sostegno delle popolazioni ma anche di riflessione sul tema. Noi consegniamo gli elaborati e le diocesi decideranno dove e come queste chiese si potranno realizzare». Per quanto riguarda le caratteristiche dei progetti ci si muove nel campo del prefabbricato perché per realizzare una struttura di questo genere ci vogliono circa 60 giorni, quindi un tempo estremamente breve che risponde alla necessaria economicità dell’intervento. «Per individuare costi e tempi, vanno individuate le tecnologie adeguate» aggiunge la Manenti. «Siamo tutti professionisti, quindi abbiamo la capacità di calcolare i costi in base alle tecnologie utilizzate. Questo è interessante e importante altrimenti si rimane nel campo delle esercitazioni grafiche». Nel dettaglio, i progetti tengono conto di alcuni fattori. «Ci siamo mossi», ricorda l’architetto, «su una base modulare e quindi anche sulla possibilità di modificare a seconda delle esigenze della comunità insediata, di modellare e di ampliare o rimpicciolire gli spazi sia dei servizi sia dell’aula. Le dimensioni vanno dai 100 posti fino ai 400. Queste erano le esigenze comunicate dalle diocesi. Piccole comunità hanno bisogno di piccoli spazi, comunità molto più grandi hanno bisogno di spazi notevoli». Un’ultima considerazione sulla filosofia di vita di queste strutture. «Parliamo di provvisorio – conclude l’architetto – ma in realtà non è del tutto corretto perché di provvisorio c’è solo l’uso liturgico. Poi, le strutture rimarranno anche se cambierà la destinazione d’uso. Per questo sono progettate secondo criteri di qualità e con la duplice attenzione al sistema energetico e alla normativa antisismica. In tutto questo, cerchiamo di tenere al minimo la spesa di mantenimento che poi è quella che si deve accollare la parrocchia».
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