lunedì 24 aprile 2017
Quella di Don Milani è una figura che si comprende solo nella fede. Il cardinale Betori: «Dobbiamo ammettere, guardando a Barbiana, che c’è una nostra inadeguatezza di Chiesa rispetto al Vangelo»
Il cardinale Giuseppe Betori (Foto d'archivio Ansa)

Il cardinale Giuseppe Betori (Foto d'archivio Ansa)

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A cinquant’anni dalla morte il Papa andrà a pregare a Barbiana, sulla tomba di don Lorenzo Milani. Ma chi è don Milani oggi per l’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori?
«Per me – risponde Betori – è un prete, e più ancora un parroco, che spese la sua fede fra la sua gente, per riscattarne la dignità. Servire la gente, è la cifra più vera di quest’uomo. Anche il suo lavoro educativo era in funzione di questo: servire le persone, in quanto figlie di Dio. Perché don Milani si comprende solo dentro la fede. E mi è cara l’immagine che usò don Raffaele Bensi, suo padre spirituale, quando disse che Lorenzo aveva conosciuto Cristo, e ne aveva fatto indigestione».

Ha detto il Papa nel suo vieomessaggio: «Innamorato della Chiesa, benché ferito».

Don Milani è anche un pezzo di una grande storia dietro di noi, che magari rischiamo di velare per timore di un confronto impietoso. Ma il farne memoria non è passare un colpo di spugna sulle incomprensioni che ha avuto con la Chiesa. Dobbiamo capire quali erano legate al carattere dell’uomo, quali ai suoi superiori, quali alla fragilità del nostro essere carne. E tuttavia non dobbiamo storicizzare tutto, ma ammettere, guardando a Barbiana, che c’è una nostra inadeguatezza di Chiesa rispetto al Vangelo, inadeguatezza che siamo chiamati a curare ogni giorno. Questa è la grande lezione della vicenda Milani.

Lei si è adoperato perchè fosse tolto il veto della Chiesa alla pubblicazione di "Esperienze pastorali".

Questo è stato l’oggetto del mio primo colloquio con il Papa, nell’autunno del 2013. E il prossimo autunno il libro sarà oggetto di un convegno della Facoltà teologica fiorentina, perchè quel testo contiene parole che non dobbiamo dimenticare.

Cinquant’anni dopo, che cosa insegna ancora don Milani?

Che non ci può essere vita vera senza la propulsione della fede. Insegna la fedeltà alla Chiesa, da cui non dobbiamo mai staccarci. E il servizio agli uomini: la Chiesa è per il mondo, e quindi il mondo non può essere mai strumento per affermare noi stessi.

La scuola di Barbiana, quanto è attuale?

La radicalità di quell’insegnamento poteva permettersela solo don Milani. Ma lo spirito che la animava è attuale: se la scuola si pensasse come luogo di edificazione della persona piuttosto che come fabbrica che abilita a professioni o saperi, quanto aiuterebbe i ragazzi. Quei ragazzi cui don Lorenzo voleva ridare dignità, dentro alla concezione della dignità inalienabile di ogni uomo - da cui deriva tutto il suo pensiero sulla libertà di coscienza e l’obiezione di coscienza.

Scriveva don Lorenzo in Lettera a una professoressa: «Voi scartate tutti i pezzi che volete». Nel denunciare la cultura dello scarto sembra di vedere una sintonia con Bergoglio.

Certo, entrambi vedono uomini feriti da curare e la Chiesa che si deve chinare su di loro con misericordia. Anche l’accento forte sulla misericordia accomuna Milani e il Papa.

Francesco dice che don Milani aveva «la consapevolezza del peccatore perdonato».

Un aspetto fondante. Ho conosciuto l’ultimo sacerdote che era stato parroco in un paesino a cinque chilometri da Barbiana, e mi raccontò come don Lorenzo attraversasse a piedi i boschi per andare a confessarsi, nella urgenza di essere continuamente riconciliato con Dio. Quella urgenza che manca all’uomo contemporaneo, preso da una ubris che gli impedisce di riconoscersi peccatore, e quindi di essere rigenerato, e ricostruire.

Che indicazione dà il Papa alla Chiesa italiana, additando Mazzolari e Milani?

È un grande messaggio. Indica due parroci, dicendo in sostanza: così si fa i preti. In mezzo alla gente, del prossimo servitori.

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