lunedì 10 febbraio 2014
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L’undici febbraio, un anno dopo. Il cardinale Georges Cottier ripensa a quel giorno storico e afferma: «Dopo la sorpresa del primo momento, dopo l’emozione che tutti abbiamo provato, oggi sappiamo che dalla rinuncia di Benedetto XVI è venuto un grande bene per la Chiesa. E dobbiamo essere grati al Papa emerito per il suo atto di onestà intellettuale». Il teologo emerito della Casa Pontificia ci riceve nel suo appartamento a due passi da Santa Marta, la casa di Francesco. L’ex monastero Mater Ecclesiae, dove risiede Joseph Ratzinger, è appena qualche centinaio di metri più in là. Naturale, dunque, che durante l’intervista il riferimento all’uno richiami anche l’altro. «Due grandi personalità – sottolinea Cottier – caratterialmente diverse, ma in perfetta continuità. Questa è la bellezza della Chiesa».Eminenza, i 12 mesi trascorsi hanno suggerito prospettive diverse nel guardare alla rinuncia di Benedetto XVI?Sono sempre più convinto che si sia trattato di un atto provvidenziale. Tutto nella Chiesa lo è. Ma Benedetto XVI, con la sua decisione profondamente meditata e maturata nella preghiera, ci ha dato un grande esempio. Quando ha ritenuto di non avere più le forze per far fronte al governo della Chiesa, si è fatto da parte, permettendo di aprire una fase nuova. Tra l’altro, tutto si è svolto con grande serenità e semplicità. Un mese dopo, il 13 marzo, avevamo già il nuovo Papa. E il successore che Dio ci ha dato è stato un grande regalo.Benedetto XVI, dunque non rischia che un novello Dante lo bolli come il Papa del «gran rifiuto». Direi proprio di no. Anche perché la sua rinuncia non è stata un abbandonare il proprio posto. Con molta lucidità egli ha misurato le proprie forze e il lavoro da fare. E ha deciso che non si può forzare la Provvidenza. Certo, il suo atto ha stupito perché è il primo caso dei tempi moderni. Ma Benedetto XVI ha fatto i conti anche con il prolungarsi della vita e l’avanzare della vecchiaia. Dunque non si può escludere che in futuro altri Papi possano fare lo stesso.La rinuncia potrebbe cioè diventare prassi?Non dico questo. Anche perché si tratta di una scelta molto personale, ma vedendo l’attuale tendenza anagrafica, un caso simile potrebbe ripetersi. Intanto ci troviamo di fronte a due esempi diversi, ma entrambi molto belli. Da un lato Giovanni Paolo II, che ha ritenuto suo dovere restare fino all’ultimo, pur nella malattia. Dall’altro Benedetto XVI. Ma queste testimonianze dimostrano la grande libertà di coscienza dei Papi, in base alla quale ognuno giudica quale sia in quel momento il bene della Chiesa. Faccio notare a questo proposito che la profonda umiltà di papa Ratzinger ha colpito la gente, facendo crescere l’affetto per lui.Si può dire che sia stato compreso veramente solo al momento delle dimissioni?In una certa maniera sì. Negli otto anni precedenti Benedetto XVI era stato un Papa da scoprire, gustando le sue bellissime omelie e studiando la profondità dei suoi testi. Tuttavia il suo carattere timido e riservato, oltre a una certa ostilità dei media, non lo hanno svelato completamente. La gente infine si è accorta del suo grande cuore dopo la rinuncia. Un uomo umile, buono, senza nessuna durezza.Quale eredità lascia alla Chiesa?Un’eredità immensa che va dalla corretta interpretazione del Concilio a grandi aperture come la Lettera ai cristiani della Cina, sulla quale bisognerà ritornare. Quanto al problema dei preti pedofili la sua azione è stata di grande fermezza. Inoltre ha fatto tutto il possibile per ricomporre lo scisma con i lefebvriani e ha avuto grande attenzione all’ecumenismo e al rapporto con gli ebrei. Inoltre ha messo l’accento sulla speranza e sulla gioia di essere cristiani e dato impulso alla Dottrina sociale della Chiesa.Eppure è stato un Pontificato segnato dalla sofferenza spirituale. A tratti contrastato dall’irrompere del «mysterium iniquitatis», come egli stesso ha detto. Perché?Con la sua lucidità intellettuale papa Ratzinger ha messo a nudo i mali della società, a partire dalla secolarizzazione, riprendendo l’invito di Giovanni Paolo II alla nuova evangelizzazione, soprattutto in Europa.E questo può aver dato fastidio alle centrali del pensiero laicista?Penso di sì, perché la Chiesa sarà sempre un segno di contraddizione. E quanto più essa si afferma, tanto più c’è da aspettarsi una reazione delle forze contrarie. Ma queste difficoltà non sono state il motivo della sua rinuncia. Perché con il suo magistero Benedetto XVI ha sempre tenuto testa alle sfide del laicismo. Un magistero che oggi riconosciamo vivo e presente anche nell’insegnamento di Francesco.
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