domenica 19 novembre 2017
Sabato a Detroit il rito presieduto dal cardinale Amato. Il cappuccino visse tra il 1870 e il 1957. Tra le sue intuizioni l'aiuto mirato ai poveri durante la crisi negli Usa del 1929.
Foto da Wikipedia commons

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I poveri, gli ammalati, gli emarginati e i senza fissa dimora. È il tratto singolare della personalità di padre Francis Solanus Casey (1870-1957), il frate cappuccino, beatificato sabato a Detroit negli Stati Uniti, secondo beato tra i religiosi nati negli Usa (l’altro è il missionario e apostolo degli indios in Guatemala Stanley Francis Rother).

A presiedere il rito di beatificazione è stato il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Il porporato ha ricordato che il religioso «rimaneva anche digiuno, per donare» il proprio pranzo ai poveri. Inoltre, «passava ore e ore ad accogliere con pazienza, ascoltare e consigliare la gente sempre più numerosa, che si rivolgeva a lui». Padre Casey, nacque il 25 novembre 1870 in una fattoria del Wisconsin, lungo le rive del Mississippi. Poi, la vocazione: voleva diventare sacerdote diocesano, ma per la sua indole e inclinazione ad essere un apostolo della carità gli fu consigliato di orientarsi verso una congregazio- ne: così avvenne la scelta dei cappuccini nel 1896.

Erano altri, i suoi talenti, ma i suoi superiori se ne accorsero subito: “Per la gente sarà una specie di curato d’Ars”, dissero nel giorno della sua ordinazione nel 1904 come prete simplex, cui era impedito di predicare in pubblico e di confessare. Da cappuccino prese a modello frate Francisco Solano, il missionario spagnolo in Sudamerica del XVI secolo canonizzato da Benedetto XIII. Per 20 anni e più fu portinaio nel convento di San Bonaventura di Detroit, dove visse di fede e di ascolto. Il suo ministero di carità e conforto fu particolarmente notato durante la grande depressione del 1929, quando la sua preoccupazione per i poveri ispirò i cappuccini di Detroit a fondare la loro mensa, un servizio di carità che continua ancora oggi.

Morì nel 1957 a causa di una grave infezione della pelle, che i medici non erano riusciti a curare. Assistito dalla sorella, padre Solanus se ne andò con il sorriso e con scritto sulla porta della sua stanza d’ospedale quello che la sua voce non riusciva più a dire: «Io do l’anima mia a Gesù Cristo». Un messaggio, quello dell’intera sua vita, che ancora ha molto da insegnare all’uomo di oggi. «Innalzando il cappuccino americano agli onori degli altari, papa Francesco lo addita a tutta la Chiesa, – ha spiegato il cardinale Amato nell’omelia – come discepolo fedele di Cristo, buon pastore. Oggi la Chiesa e la società hanno bisogno dell’esempio e dell’opera di padre Solanus».

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