mercoledì 13 febbraio 2013
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Zygmunt Bauman si schermisce, quando gli ricordiamo che Benedetto XVI ama citarlo: «Sì, il Papa ha menzionato il concetto di società liquida. C’è qualcuno che è stato capace di camminare sul liquido, ma noi siamo esseri umani e abbiamo bisogno di tenere i piedi sulla terra solida...». Il filosofo e sociologo polacco è a Roma, invitato al convegno organizzato dall’associazione Greenaccord Onlus - in collaborazione con l’università Lumsa, Fnsi e Associazione stampa romana - per riflettere sul tema "Verso un nuovo umanesimo". E prova a ragionare sulle motivazioni che hanno spinto il Santo Padre a una decisione epocale. «Non sono in grado, ovviamente, di entrare nella mente e nel cuore di Benedetto XVI – premette Bauman – e posso solo riflettere sull’impatto che avrà la sua decisione. E su come questa si rifletterà sulla realtà fluttuante delle istituzioni religiose che fungono da mediatore tra Dio e l’uomo. Ecco, credo che quello che ha fatto Benedetto XVI sia stato il tentativo di riportare il pontificato a una dimensione di umanità». Forse, ipotizza l’intellettuale polacco, Ratzinger «con la sua confessione pubblica ha voluto ammettere che anche il Papa, che pure è una sorta di apostolo e di messaggero, è un essere umano. È sì un plenipotenziario di Dio, ma ci ha ricordato che esistono dei limiti a quello che può fare». Il coraggio di Benedetto XVI, secondo Bauman, sta dunque nell’avere voluto ricordare che la figura del Vicario di Cristo in Terra e l’uomo che lo impersona non possono essere sempre e comunque sovrapposte. «Questa distinzione – dice – è stata fatta, per la prima volta da secoli a questa parte, proprio dall’uomo che è l’erede di San Pietro e che è a capo di un’enorme comunità di credenti. E io credo che sia stato molto onesto, molto coraggioso nel dire: io sono stato scelto per rappresentare questa funzione così sacra, ma allo stesso tempo sono ancora un essere umano, sto cercando di svolgere al meglio questo ruolo, ma purtroppo le mie capacità sono umane e quindi limitate». Benedetto XVI sicuramente ha meditato a lungo «ed è giunto alla conclusione che una dichiarazione di questo tipo, che ha cambiato per sempre lo stato delle cose, poteva essere fatta». Inevitabile, agli occhi del fedele come dell’uomo della strada, il paragone con la fine del pontificato di Karol Wojtyla: «Da prefetto della Congregazione della fede, Ratzinger ha passato molti anni in compagnia di Giovanni Paolo II – ricorda Bauman – e quindi ha conosciuto bene il conflitto tra il ruolo, che Giovanni Paolo II era tenuto ad avere, e la sua incapacità, nell’ultimo periodo, di uomo sofferente e malato, che poteva fino a un certo punto e non di più. Credo che dunque, condividendo questi momenti tragici, Benedetto XVI abbia voluto trarre queste conclusioni. E abbia deciso di non ripetere quell’esercizio».
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