domenica 27 ottobre 2019
Dal cardinale peruviano un primo bilancio dell’assemblea: il testo finale come una bussola ma l’orizzonte è Cristo. Le statuette? Nessun significato blasfemo, pagano o irriverente, esprimono la vita
Il cardinale Padro Barreto

Il cardinale Padro Barreto

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La lunga canoa si accosta alla riva del Grande fiume. Uomini e donne, sacerdoti, vescovi, cardinali, religiosi, laici, indios di differenti popoli scendono uno dopo l’altro, tenendosi per mano. E per mano scelgono di continuare a camminare. Insieme. È questa la convinzione che accompagnerà il ritorno in Perù del cardinale Pedro Barreto. Perché «l’Assemblea sinodale termina oggi. Ma il percorso prosegue. E vogliamo farlo insieme: Chiesa e indigeni. Con lo sguardo fisso verso l’orizzonte, che è Cristo», sottolinea l’arcivescovo di Huancayo e vicepresidente della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), il cui contributo all’assise è stato più volte sottolineato dalla stessa Santa Sede.

In questo procedere congiunto - Sinodo, appunto -, il documento finale, approvato ieri dall’Aula, «svolge la funzione di bussola: ci aiuta ad orientarci. Non dobbiamo, però, concentrarci ossessivamente sul testo o, peggio, sui suoi singoli punti. Lo sguardo deve restare fisso sull’orizzonte, che è Cristo», sottolinea Barreto.

Verso di Lui, la Chiesa d’Amazzonia vuole muoversi, passo dopo passo con l’aiuto dello Spirito. E di quanti abitano da tempo immemorabile l’Amazzonia. «Altrimenti si rischia di girare a vuoto. A me è accaduto. Qualche tempo fa, mi trovavo nella selva con un confratello gesuita. Gli indios che eravamo andati a visitare ci avevano spiegato il percorso per raggiungere l’altra comunità: ci avevano detto di costeggiare il fiume. Era un bel tratto. Il mio compagno ed io, così, abbiamo pensato di accorciare le distanze, prendendo una scorciatoia. Dopo tre ore di cammino, ci siamo ritrovati al punto di partenza. Quella perdita di tempo e di fatica mi ha dato una lezione pratica di quanto sia vano andare in Amazzonia prescindendo dalle conoscenze dei nativi. Solo in alleanza con loro, la Chiesa può essere fedele a Gesù e al suo mandato: andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo a ogni creatura».

Alleanza è una parola tipica delle varie culture native d’Amazzonia. Molto più del corrispettivo occidentale “rete”. «A me fa pensare alla nuova ed eterna Alleanza che Cristo è venuto a stringere con l’umanità nei suoi differenti popoli», prosegue il vicepresidente di Repam. E quest’alleanza con la Chiesa, nella figura di papa Francesco e dei Padri sinodali, gli indigeni hanno voluto esprimerla in piccoli gesti concreti.

Ogni mattina, ad esempio, fuori dall’Aula Paolo VI, una piccola folla di nativi, non invitati all’Assemblea, e di missionari giunti dall’Amazzonia si riuniva un’ora prima dei lavori per pregare insieme e “incitare” con applausi e strette di mano i partecipanti. Anitalia Pijache, figlia di un Okaina e di una Uito- to, giunta dalla città colombiana di Leticia, durante l’incontro tra una delegazione di nativi e il Pontefice, si è accostata a quest’ultimo e con voce commossa gli ha domandato: «Lei ci benedice sempre. Posso portarle anche io la benedizione dei popoli amazzonici?».

Poi ha imposto le mani sul capo del Papa e ha pronunciato una preghiera spontanea di ringraziamento. Altri rappresentanti indios hanno sottolineato il loro affetto abbracciando Francesco, senza far caso al protocollo. «Porto nel cuore l’immagine dell’apertura del Sinodo. Dopo la preghiera sulla tomba di San Pietro, il Papa e il resto dei partecipanti dovevano dirigersi insieme nell’Aula Paolo VI. Qualcuno ha detto ai vescovi di andare avanti. I nativi ne hanno approfittato per accostarsi al Santo Padre e camminare insieme. Non credo potesse esserci un inizio più bello».

Eppure alcuni hanno visto in molte espressioni della cultura indigena manifestazioni “pagane”. L’ormai noto “affaire statuette” le immagini di legno di una donna incinta gettate nel Tevere e ripescate ieri - ha infiammato la blogsfera ultrà. «Statuette come quelle “incriminate” le ho viste in tutti gli eventi amazzonici. Esse esprimono la vita. Non nascondono alcun significato blasfemo o irriverente o pagano. Il punto è che, molto spesso, si guarda senza vedere. O meglio si vede con gli occhi del pregiudizio e non della realtà. Non mi sorprende. E’ accaduto spesso nella storia di incontro- scontro tra occidentali e popoli amazzonici. Fin dal principio. Il nome Amazzonia - terra delle Amazzoni - è, del resto, frutto di un equivoco. Gli spagnoli che per primi navigarono il Grande fiume, al seguito di Francisco de Orellana, si imbatterono in un gruppo di nativi dai lunghi capelli e senza peli sul corpo e li scambiarono per donne. Non potevano essere uomini se erano diversi da loro…».

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