venerdì 29 novembre 2013
​l cardinale Bagnasco ha aperto l’assemblea Fisc: semplificazione e slogan linguaggio dei falsi profeti. Il presidente della Cei ha sottolineato però anche l’esistenza di «tracce molteplici» di un «servizio pubblico» che accresce la democrazia. IL TESTO
Bagnasco: «Il giornalismo ritrovi verità e responsabilità»
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Crisi, sì. Ma, «certo, in primis, non economica». Se il giornalismo è in affanno, infatti, è perché «è innegabile» che sia la stessa professione, «prima ancora che la vendita dei giornali cartacei», ad aver bisogno «di essere ripensata». Perché «se perde l’aggancio alla verità, e se smarrisce la responsabilità nei confronti dei suoi lettori, allora anche il giornalista più dotato può produrre danni culturali gravissimi, contribuendo ad aumentare la cacofonia, la frammentazione, il disorientamento e la confusione, nonché la violenza che così spesso si sprigiona nelle situazioni di incertezza e fragilità». E per questo, allora, proprio in questo tempo di crisi occorre «cogliere l’opportunità di cambiamento, orientandolo verso una crescita di senso».

È un’analisi attenta, puntuale, franca quella che il cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana, Angelo Bagnasco, ha fatto della professione giornalistica, intervenendo ieri pomeriggio a Roma all’apertura della XVII assemblea elettiva della Fisc, la Federazione cui fanno capo 187 settimanali cattolici, aperta dal saluto del presidente Francesco Zanotti. Secondo Bagnasco, questo «affanno» della professione giornalistica «è evidente in molte sue derive, che ormai purtroppo sono più routines che eccezioni»: si parla dell’«uso strumentale e destabilizzante di notizie non verificate», così come dell’«uso voyeuristico e acritico del "diritto di cronaca"», di una «corsa allo scoop» che «non esita» a violare «anche la privacy», di «generalizzazioni indebite». Cattive abitudini che si accompagnano all’uso di «espressioni costruite a tavolino per ottenere il massimo dell’effetto comunicativo con il minimo della riflessione», mutuate dalla pubblicità che però «mira alla seduzione e non certo a un risveglio di consapevolezza». Quello degli slogan, infatti, «è il linguaggio dei falsi profeti – ha denunciato il porporato – che Papa Francesco non cessa di invitarci a smascherare».

Il presidente della Cei ha citato, non a caso, il "decalogo" dettato negli anni della guerra civile dal giornalista spagnolo "Lolo" Lozano Garrido, oggi Beato, che tra l’altro invitava a «tagliare la mano che vuole imbrattare, perché le macchie nei cervelli sono come quelle ferite che non guariscono mai». Secondo Bagnasco, «i giornalisti dovrebbero essere più consapevoli del fatto che le parole non sono mai termini neutri, ma sono finestre sul mondo che ci fanno vedere tanto di più quanto meno sono ristrette e ipersemplificate. Senza contare, poi, che è molto più facile – ha aggiunto – incollare un’etichetta che staccarla, e quella che ci va di mezzo è la vita delle persone». Il cardinale ha ancora osservato come «operazione ancora più scorretta è prendere a prestito le parole dell’etica e usarle in modo strumentale per coprire ben altre intenzioni, prima tra tutte il mantenere, a beneficio personale e non certo della collettività, una posizione di potere o di privilegio». È il caso della parola «responsabilità» che, ha detto, «ultimamente è una delle più abusate».

Pur in questa situazione, tuttavia, secondo il cardinale «è possibile individuare anche oggi le tracce molteplici di un giornalismo che sa resistere alla tentazione del servilismo e del carrierismo», rendendo così un «servizio pubblico», che accresce «la qualità democratica». A dimostrarlo le centinaia di giornalisti che, in tutto il mondo, sono stati «uccisi, minacciati, torturati o soggetti ad intimidazioni»; testimoni del fatto che «si può agire diversamente rispetto ad un quadro che sembra rendere impossibile l’esercizio di un compiuto ruolo sociale». Per questo, allora, il giornalismo cattolico in particolare «non può esimersi da una seria valutazione del proprio operato, mettendo in conto i rischi evocati, ma anche le possibilità di testimonianza sottese». E se «non vi è dubbio che la caratteristica vicinanza al territorio, che disegna il profilo dei settimanali cattolici, sia una garanzia di concretezza e di attenzione alla gente, e tuttavia occorre rinverdire e rimotivare l’impegno per un giornalismo costruttivo e mai polemico, popolare e mai populista, sempre espressione dell’identità culturale e religiosa del nostro popolo e mai di lobby o di ideologica precomprensione». «Se saprete dire una parola di senso, di comprensione, di ascolto e di consolazione davanti alla vita e alle sue vicende liete e tristi – ha concluso Bagnasco – saprete ritrovare la più nobile missione del giornalismo, che è quella di dar voce a chi non l’ha».

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