sabato 30 aprile 2016
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Indicare la strada del discernimento caso per caso non vuol dire aprire al relativismo che «si supera solo con l’amore che accoglie, accompagna e aiuta». Lo sostiene a proposito dell’Amoris laetitia, il vescovo di Fiesole, Mario Meini, che è anche vicepresidente Cei per l’Italia centrale. Nell’Esortazione del Papa vede più rinnovamento pastorale o 'aggiustamento' della dottrina? Prima di tutto mi sembra doveroso dire grazie a papa Francesco e ai padri sinodali per questa Esortazione. Mi auguro che possiamo assimilare profondamente quanto il Papa ci chiede, non solo in riferimento alle singole situazioni, ma soprattutto in ordine alla percezione di uno stile davvero evangelico e positivo nel saperle affrontare. Il magistero di papa Francesco ci invita continuamente a rinnovare il nostro modo di rapportarci con le persone. Un rinnovamento che esige da noi una conversione spirituale, prima ancora che pastorale. Se non prendiamo questa novità di fondo, riduciamo l’Esortazione apostolica a una casistica più o meno aggiornata, ma perdiamo una opportunità storica che lo Spirito Santo ci dona per sintonizzare la 'buona notizia' di Gesù con il mondo contemporaneo. Sono convinto che lo Spirito Santo ci sta offrendo con papa Francesco la chiave per raggiungere il cuore di molte persone. Non possiamo gettar la chiave in mare. Condivide la lettura di chi dice che, con questa Esortazione, non si rinuncia all’ideale di santità connesso alla vocazione matrimoniale, ma lo si pone come punto d’arrivo di un percorso d’integrazione in cui c’è posto per tutti, e non come 'peso insopportabile' sulle spalle di giovani che spesso non ne comprendono neppure il significato? Certo. I principi e gli insegnamenti sono lampade per illuminare il cammino, ma chi cammina concretamente è la singola persona e anche la comunità cristiana. Fare sconti sui principi sarebbe assurdo, ma la fragilità umana ci insegna che l’attuazione dei principi è sempre una mèta. Chi è più santo più corra verso la mèta e più trascini con l’esempio anche gli altri, ma chi sta nella fatica si senta consolato dalla misericordia e si senta incoraggiato a superare la prova. Il Papa ci dice che dobbiamo abbandonare un’idea di matrimonio 'troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalle situazioni concrete' (n.36). Come mai si è affermata questa visione quasi irreale del matrimonio? E come possiamo porvi rimedio? Forse i manuali di studio anteriori al Vaticano II erano troppo nutriti di elementi filosofici e giuridici. In seguito hanno avuto ampio spazio anche la sociologia e la psicologia. Però non è mai mancata una attenta riflessione di fede sulla famiglia. Il Magistero stesso ne è stato il veicolo principale. Amoris laetitia beneficia ampiamente di questa riflessione. Il nuovo è dato dal modo di rapportarsi ai fedeli per presentare la riflessione di fede e per stimolarla ulteriormente. In fondo l’insegnamento fondamentale sta nel tenere ben presente che il Vangelo è per le persone e anche i principi devono servire alle persone. Il sabato è per l’uomo, non l’uomo per il sabato. Nel documento vengono bocciate anche le 'insistenza su questioni dottrinali, bioetiche, morali' (n.37). Non c’è il rischio che, nel desiderio di ridefinizione che inevitabilmente si avvierà, si finisca per aprire la strada a una sorta di relativismo etico? Il relativismo non si supera con l’affermazione categorica dei principi. I principi ci sono e vanno correttamente insegnati. Vanno pure evangelicamente ricordati nella predicazione. Ma il relativismo si supera solo con l’amore che accoglie, accompagna, aiuta a discernere e finalmente spinge verso la piena osservanza del comandamento nuovo. Come si concilia nell’Amoris laetitia il richiamo più volte ribadito ai principi tradizionali del matrimonio (unicità, fedeltà, fecondità, indissolubilità…) e l’attenzione viva per le fragilità, che sono comunque presenti anche nelle coppie che resistono agli impulsi disgreganti? Guardiamo la nostra vita fisica: per curare i malanni più o meno gravi che mi trovo addosso devo tenere ben presente qual è l’ideale di un sano benessere e al tempo stesso devo serenamente rapportarmi alla mia condizione concreta per prevenire e curare in maniera adeguata. Lo stesso si può dire della vita spirituale e delle famiglie: proprio l’attenzione alle condizioni concrete di ciascuno postula l’annuncio sincero della 'buona notizia' sulla famiglia, un annuncio che poi ciascuno deve assimilare secondo la propria condizione. Questo comporta che i singoli fedeli crescano onestamente nella responsabilità personale e che la comunità circostante non si erga mai a giudice dei fratelli. Non giudicate e non sarete giudicati. Il mio giudice è il Signore. La necessità di discernere caso per caso nei percorsi penitenziali riservati ai divorziati in nuova unione, assegna ai vescovi e ai presbiteri una grande responsabilità pastorale. Serviranno a suo parere nuove strutture e nuove competenze per realizzare al meglio queste indicazioni? Ogni buon sacerdote ha sempre cercato di sentire fortemente la propria responsabilità pastorale in tutto ciò che concerne la vita del Popolo di Dio e di attuarla secondo la propria coscienza. L’accompagnamento dei fedeli divorziati è solo uno dei tanti ambiti in cui è richiesto l’accompagnamento spirituale dei fedeli, non certamente l’unico. Mi pare che il Papa ci aiuti e ci rassereni nell’esercizio di questa responsabilità. L’unica vera competenza per esercitarla bene è la competenza del Vangelo. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’intervista Il vescovo Mario Meini (Siciliani)
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