giovedì 27 maggio 2010
Risorsa per il Paese, garanzia di pluralismo nel sistema formativo: è la scuola cattolica nelle parole del vicepresidente della Cei l’arcivescovo Nosiglia. Oggi la votazione degli «Orientamenti pastorali» per il prossimo decennio.
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Il presente e il futuro dell’Italia dipendono dalla capacità di educare. Anzi, questo ambito rappresenta per «il nostro Paese la sua miniera d’oro più produttiva». Una miniera «a cui attingere e da cui ripartire», perché «sull’educazione si gioca l’avvenire di una società e sappiamo bene che la stessa crescita economica di un Paese aumenta in proporzione all’investimento che si fa sulla formazione». L’arcivescovo di Vicenza Cesare Nosiglia, neo vicepresidente della Cei, ha spiegato così la scelta compiuta dai vescovi italiani di dedicare il prossimo decennio pastorale alla sfida educativa. Il presule ha tenuto ieri la seconda conferenza stampa per illustrare ai giornalisti l’andamento dei lavori dell’assise. E ha ricordato che oggi ci sarà la votazione sul testo degli Orientamenti, dopo che lo stesso è stato esaminato ieri prima nei gruppi di studio e poi nell’aula.L’argomento è al centro dei lavori di questa settimana assembleare e, dunque, per sottolineare quanto i vescovi lo abbiano a cuore Nosiglia ha detto: «Noi riteniamo che sia un tema che interessa e coinvolge tutta la società. L’investimento di personale, risorse e mezzi adeguati al raggiungimento delle finalità dell’educazione rappresenta sia per la Chiesa, sia per la società il primo e indispensabile impegno che non può essere eluso o sminuito da altri pure necessari ambiti di lavoro in campo economico e sociale». Il nuovo vice-presidente Cei per il Nord non ha nascosto l’importanza della sfida. «È in gioco – ha detto, infatti –, la conservazione e il rinnovamento di quel patrimonio di qualità del sapere, della cultura e della vita, ricchi di valori umani, spirituali e morali, religiosi e civili e di uomini e donne che li hanno incarnati con genialità». Dunque anche il metodo con cui approcciare il problema deve essere il più inclusivo possibile. «I nostri orientamenti – ha spiegato – intendono sollecitare un dialogo, confronto e collaborazione con tutte le forze vive del Paese impegnate in questa frontiera per affrontare uniti l’emergenza educativa e farvi fronte con comune senso di responsabilità». «Credo – ha proseguito l’arcivescovo – che la Chiesa in Italia con questo impegno decennale indica chiaramente a se stessa ma anche al Paese dove puntare la bussola del suo progresso e del suo futuro». E lo fa rivolgendosi alle famiglie, alle realtà civili, alle comunità cristiane. «Si rivolge infine alle istituzioni politiche, culturali, economiche e sociali perché investano le loro migliori energie in questo ambito che rappresenta il cuore pulsante del Paese».Nel documento tutto ciò viene tradotto in alcune finalità. Il presule le ha riassunte così: «qualificare la proposta educativa cristiana, esercitare un equilibrato discernimento sulla odierna situazione culturale, puntare sulla formazione degli educatori, promuovere alleanze educative sul territorio. Rispondendo poi a una domanda sulla quantità di investimento richiesto, Nosiglia ha spiegato che non si tratta solo di investimento economico ma «di personale, di cultura e soprattutto di mentalità e che chiama i causa i tanti adulti che sulla sfida educativa hanno messo i remi in barca». Invece «ne va del futuro e del presente del Paese. Tutti devono dare il proprio contributo. A ciascuno è chiesto di dare il meglio di sé».Diverse le domande a margine. Sulla scuola cattolica: «È un contributo prezioso all’intero sistema scolastico nazionale, garazia di pluralismo, un servizio pubblico che va riconosciuto sotto tutti gli aspetti, anche finanziario». Sul federalismo non si è pronunciato; sulla questione pedofilia ha rimandato alla prolusione del cardinale Bagnasco, sottolineando come il tema dell’educazione riguardi anche l’attenzione ai candidati al sacerdozio. Infine sul 150° dell’Unità d’Italia, ha citato un documento del 1981 («La Chiesa italiana e le prospettive del Paese»), per ribadire che «l’Italia non crescerà se non insieme».
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