mercoledì 6 aprile 2016
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C’è un solo modo per costruire il futuro nella Chiesa e nella società. Quello di prendersi cura delle generazioni che verranno. Una responsabilità che non coinvolge solo i genitori, ma che tocca da vicino tutti gli adulti che hanno a cuore un progetto di vita e di fede. Nessuno può chiamarsi fuori. Trasmettere un senso, indicare una strada vuol dire regalare radici e ali a chi – come i giovani – sta interrogandosi sulle ragioni della propria esistenza. Vuol dire tradurre in concretezza buona, in fatica destinata a diventare generativa, l’impegno della paternità e della maternità. Fecondità ideale, impegno di cuore, scelta di speranza più che dato biologico. In una società che fa sempre più fatica a individuare adulti che sappiano essere punti di riferimento il vescovo di Albano, Marcello Semeraro, e il direttore dell’Ufficio catechistico dell’arcidiocesi di Benevento, don Salvatore Soreca, hanno avvertito il bisogno di misurarsi con la sfida dell’emergenza educativa. Ma, invece di compilare il solito manuale per educatori – ce ne sono tantissimi e e spesso non è facile coglierne l’originalità – hanno deciso di avventurarsi su una strada più impervia e quindi più pericolosa. Quella di declinare l’impegno educativo attraverso un percorso che già il teologo olandese Edward Schillebeeckx, grande protagonista del Vaticano II, chiamava «profezia estranea». Semeraro e Soreca vanno ancora oltre e di «estraneità» nel volumetto Accompagnare è generare (vedi box a destra) ne presentano addirittura due insieme. «Potremmo anche definirla teologia narrativa – spiega il vescovo di Albano – pur considerando che questo proposito lodevole è spesso rimasto una teoria con poche espressioni. Noi invece l’abbiamo messa in pratica perché con- vinti che nulla come l’impegno educativo debba mettersi in dialogo con l’esperienza quotidiana». I due testi laici scelti per diventare metafora dell’accompagnamento sono La strada di Cormac McCarthy – per quanto riguarda la parte scritta dal vescovo Semeraro – e Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza di Luis Sepulveda – nei capitoli a cura di don Soreca –. Il risultato è rappresentato da pagine di grande agilità, facile lettura, concetti sintetici, poco ecclesialese e, anche se il volume esce in una collana di catechesi, pochissimo aplomb catechetico. Almeno secondo gli schemi della tradizione. «In questi anni – riprende Semeraro – è stato spesso ribadito il rischio di una società senza padri e senza adulti. Tutto vero, ma che caratteristiche dovrebbe avere questo padre per risultare un testimone credibile agli occhi del figlio? Innanzi tutto dovrebbe risultare determinante per accendere e tenere acceso il fuoco dentro». Che vuole dire non rinunciare a costruire futuro, non rinunciare all’infinito. Nell’Evangelii gaudium, papa Francesco – citato dal vescovo di Albano – ricorda che l’annuncio «si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente...». Oggi invece troppo spesso, spiega Semeraro, il percorso educativo è caratterizzato da impegno tecnico, da preoccupazioni legate alla programmazione. Servirebbe invece più cuore e meno teoria. Come sarebbe anche indispensabile rivestire i panni dell’accompagnatore e abbandonare quelli dell’istruttore. «È doveroso – scrive il vescovo di Albano – stare in guardia da surrogati dell’educare, quali: apprendimento, istruzione, preparazione, imitazione... Ciascuna di queste parole rinvia di sicuro all’educazione, ma ci tranquillizza pure! Educare è molto più faticoso». Anche perché deve sollevare un’emozione, un entusiasmo, uno spirito nuovo. Educare vuol dire generare. Non c’è alternativa. In caso contrario il fallimento diventa realtà e – come si racconta nel mito di Dedalo e Icaro richiamato da Semeraro come storia di un’educazione fallita – ci si perde in una deriva etica che diventa disorientamento e ingiustizia. E nella nostra società «non possiamo permetterci la morte del figlio». Il dolore di troppi figli abbandonati a un destino di indifferenza, senza riferimenti certi, nella logica perversa della trasgressione fine a se stessa, ci mostra in modo fin troppo esplicito la falsità di certi slogan imperanti nella società senza padri. Di grande spessore anche il contributo offerto da don Soreca. Tra le tante intuizioni che meriterebbero di essere messe in luce, è forse utile ricordare almeno le quattro caratteristiche del buon educatore-accompagnatore: accettazione incondizionata di chi si educa, stima e rispetto della vita dell’educando, gentilezza e ottimismo. Punti fermi anche per la Chiesa: «Nella misura in cui rinasce nella comunità il desiderio missionario di farsi compagna di strada, rinasce la comunità stessa, evangelizzata da coloro che accompagna». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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